il Fatto Quotidiano, 21 marzo 2022
Futuristi in amore: lettere di Marinetti a Severina
“Mia carissima Severina, la tua lettera mi ha causato molta, molta tristezza. Senza fallo sarò a Milano il 1° ottobre. Ho voglia di abbracciarti con folle tenerezza, poiché tu sai salire senza venir meno su un simile Calvario! Ti ammiro perché hai saputo spingere così in alto i tuoi ideali d’energia e di trionfo, mentre io marcisco qui, nella più spiacevole solitudine. D’altra parte, taccio sulla mia ridicola persona che non ha altro merito se non quello di piacerti un po’! A proposito: ti troverò ancora a letto? Potrò vederti, in questo caso? Lo desidero ardentemente. Ho letto la tua lettera col piacere acuto di una scoperta psicologica, perché in essa si è rivelata un po’ della tua anima. Arrivederci dunque, mia affascinante eroina! Mille e mille baci folli sulle tue preziose labbra. Ah! Se tu volessi amarmi come io t’amo, io sento che la fortuna sarà propizia a noi due”.
È il 28 settembre 1901 quando il giovane Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), non ancora demiurgo del futurismo, invia questa lettera, probabilmente da Genova, alla misteriosa Severina. Alla medesima, in una data non precisata, poi scrisse: “Amami come altre volte, come ieri piuttosto (poiché soltanto ieri sei venuta tra le mie braccia, mia!). Quanto a me, non faccio altro che amarti. Ti bacio follemente, con lo slancio disperato di un palombaro suicida, in quell’abisso di gioia sinistra e di dolore che è divenuto il mio amore per te. Ti adoro – baci, mille baci sulle tue labbra. Scrivimi. Tuo FTM”.
Chi è la donna, ignorata dai biografi di FTM, alla quale il poeta mandò oltre sessanta lettere fra il 1901 e il 1902? Si tratta di Severina Javelli, una cantante lirica di grande bellezza e di una certa fama agli inizi del Novecento, nata a Cuneo nel 1866 e morta dimenticata nel 1958. A Cuneo non esiste più nemmeno la sua tomba. Eppure, agli albori del secolo XX, Severina fece bruciare di passione poeti, commediografi, compositori, giornalisti, senatori del Regno: da Marinetti a Edoardo Scarfoglio, Jules Massenet e Antonin Périvier, condirettore di Le Figaro e della rivista Gil Blas.
Proprio grazie all’amore, o meglio, ai suoi amori, ma pure ai semplici ammiratori, la Javelli esce dall’oblio in cui era caduta e con lei la corrispondenza marinettiana, rimasta per anni sepolta in un cassetto. Succede grazie a una straordinaria raccolta di manoscritti autografi, ovvero di lettere indirizzate alla cantante, fortunatamente conservate a Cuneo dal professor Cesare Franchino (morto nel 1987). La raccolta è appena stata pubblicata nel volume Severina Javelli – Lettere 1890-1914. Marinetti, Massenet, Scarfoglio, Perivier, Ojetti: gli uomini di una vita tra l’amore e il bel canto, curato da Armando Pautassi e stampato dalla casa editrice Araba Fenice. Un libro fantasma, però, fino a ora, perché quei pochi esemplari usciti sono stati bloccati dai lunghi lockdown del Covid. Adesso l’editore ci riprova.
È un giacimento realmente prezioso. Oltre a missive di Leonardo Bistolfi, Paolo Buzzi, Francesco Cilea, Ugo Ojetti, Marco Praga, Francesco Tamagno, fino a Matilde Serao, alla Contessa Lara, al secolo Evelina Kettermohl, e a cinquanta autografi di Scarfoglio, c’è soprattutto l’epistolario di Marinetti: sessantasei autografi, dal settembre 1901 a una data imprecisata della prima metà del 1902.
Annota Pierpaolo Bindolo nella prefazione che FTM “rimase stregato ‘dall’affascinante sorriso di lussuria benigna’ della cantante”, come le scriveva, “a tal punto da affermare in più riprese ‘al diavolo i versi e la letteratura. Io non amo più che te, che sei la padrona assoluta della mia carne e del mio pensiero! O mia affascinante voragine, mia celeste Severina, mio chiaro di luna!’”. Sono lettere, prosegue Bindolo, che, sia “per i contenuti sia per la calligrafia e la grafica”, sembrano essere “un multiforme laboratorio dei suoi futuri testi letterari”.
Ventisei anni lui, trentasei lei, FTM e Severina si incontrarono varie volte, in particolare a Genova, dove la Javelli tenne dei concerti. Dal carteggio, aggiunge Bindolo, “risulta che in quel periodo il futuro fondatore del futurismo passasse molto tempo ad accudire i propri genitori e la zia di Modena; questo però lo irritava e deprimeva”. Così, in una lettera del 24 settembre 1901, faceva sapere all’amata Severina: “Devo tenere compagnia a mia madre ancora per alcuni giorni. È come se calasse del piombo nelle ore interminabili delle mie tristi giornate. Bene o male, riesco ad ammazzarle scaricando il mio revolver su un vecchio quadro della mia camera”.