Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  marzo 21 Lunedì calendario

La guerra ucraina affama l’Africa

Altissima è l’attenzione sull’Ucraina, ma attenzione a perdere di vista quelli che possono essere i risvolti che questa guerra – iniziata ormai da tre settimane – può avere lontano dai confini europei. Secondo la Fao sono 50 Paesi, tra cui molti dei paesi meno sviluppati a dipendere dalla Russia e dall’Ucraina per il 30% o più delle loro forniture di grano, il che li rende particolarmente vulnerabili. Con il conflitto in atto il numero globale di persone denutrite potrebbe aumentare da 8 a 103 milioni di persone nel 2022/23. Gli aumenti più pronunciati si vedrebbero nella regione Asia-Pacifico, seguita dall’Africa subsahariana, dal Vicino Oriente e dal Nord Africa.L’inflazione è tornata infatti a bussare alla porta dell’Africa, con i prezzi della maggior parte dei prodotti alimentari di base saliti alle stelle, mettendo sotto pressione consumatori, privati, governi e poteri consolidati. Non sorprende dunque sentire in questi giorni la voce anche dell’Fmi attraverso il suo amministratore delegato Kristalina Georgieva che con i leader africani ha usato parole chiare: «In questo momento difficile, il Fondo è pronto ad aiutare i Paesi africani ad affrontare le ripercussioni della guerra e a progettare e attuare riforme attraverso la sua consulenza politica, lo sviluppo delle capacità e i prestiti». Bene, non possiamo che sperarlo, ma intanto a partire dal Nord Africa, la situazione non è per niente rassicurante anche per le proteste che continuano ad aumentare nei diversi Paesi, riaccendendo un ricordo neanche molto lontano, quello delle primavere arabe. Vi ricordate il loro slogan dalla piazza del Cairo? «Pane, libertà, giustizia sociale». Le varie manifestazioni per il caro prezzi sono un campanello d’allarme. La guerra in Ucraina rischia di trasformarsi in un boomerang per diversi Paesi africani e sono molte le analisi e gli studi a confermarlo. Dal Cairo sono tutt’altro che sereni. Il Paese si regge importando quasi la metà del suo consumo annuale di grano, che in cifre si traduce in 20 milioni di tonnellate indirizzate principalmente alla produzione del pane e soprattutto alla famosa frittella sovvenzionata, El Aysh (che non a caso significa vita) del peso di 90 grammi che si vende al prezzo di un ventesimo del suo reale costo e a cui hanno diritto quasi i tre quarti dei cento milioni di egiziani. Per il momento le riserve sono sufficienti per quattro mesi di consumo, dicono. Ma poi sarà necessario trovare rapidamente i sostituti di Russia e Ucraina, che ad oggi, nonostante i bandi di gara, non si sono trovati.Intanto il prezzo del grano continua ad aumentare, mentre il conflitto russo-ucraino non si ferma travolgendo gli equilibri di altri paesi più stabili come il Marocco, essendo il regno un esportatore sia di energia che di generi alimentari. Secondo il Think tank Policy Center il Marocco è la più grande economia africana a dover subire uno shock negativo significativo dopo questa guerra. Il regno è anche un importante importatore di grano. Il costo dei cereali importati in percentuale del Pil si è attestato all’1,4% nel 2019, ma a causa di un raccolto scarso previsto nel 2022, le importazioni potrebbero essere il doppio. Ciò significa che l’effetto combinato dell’aumento dei prezzi del petrolio e del grano, se sostenuto, potrebbe costare al Marocco tra l’1% e il 2% del reddito nazionale quest’anno.Il presidente tunisino Kais Saïed fa la voce grossa promettendo che farà «una guerra feroce nel quadro della legge contro speculatori e criminali» ma certo non basterà, perché il Paese sta sempre peggio, non solo perché è in preda a una grave crisi politica e finanziaria ma sta iniziando ad affrontare anche una carenza di prodotti alimentari di base, come semola, zucchero, riso e farina, di cui dipende molto all’estero insieme alla metà del proprio fabbisogno di grano che arrivava soprattutto dall’Ucraina. In Algeria, suonano invece diverse campane. Se la fine dei sussidi ai prodotti di base aveva causato gravi carenze alimentari all’inizio dell’anno, Algeri spera ora di finanziare l’acquisto di cereali con la produzione di gas, dato che è aumentata la richiesta di export. Certo, nel continente africano non tutti i Paesi subiscono le conseguenze della guerra allo stesso modo perché i Paesi europei provano a rivolgersi ad altri fornitori per far fronte all’impennata dei prezzi degli idrocarburi dalla Russia. In Africa, l’Algeria, la Libia e la Nigeria – che sono i principali produttori di idrocarburi – potrebbero veder crescere i loro ricavi, ma il punto è che i problemi che dovrà affrontare il continente non saranno certamente risolti da un passo in avanti di questi tre Paesi, ed è per questo che l’attenzione sull’Africa va tenuta costante soprattutto sulla parte Nord che confina con il nostro Mediterraneo, e dove i cambiamenti positivi o negativi, si riversano sempre anche sulle nostre vite. —