La Stampa, 21 marzo 2022
Sessanta miliardi per la difesa
Nessuno all’interno del governo si illude di portare le spese militari al 2% del Prodotto interno lordo entro il 2024. Ma un piano con un orizzonte leggermente più lungo c’è, e ci stanno lavorando al ministero della Difesa guidato da Lorenzo Guerini. Un piano che prevede di replicare, almeno in parte e per almeno altre due-tre finanziarie, lo stanziamento di 12,5 miliardi di euro che nelle ultime due leggi di Bilancio, in totale 25 miliardi a oggi, sono finiti nel Fondo pluriennale battezzato da Guerini a fine 2020.Uno strumento di finanziamento con proiezione a 15 anni dove far confluire voci di spesa fino ad allora disseminate in vari ministeri. Sarebbero oltre 60 miliardi circa destinati, in cinque anni, a investimenti lunghi un ventennio su ricerca, industria, tecnologia, mentre «gradualmente», ha spiegato il ministro, si fa crescere il bilancio ordinario annuale. Questo è il piano, delineato dalle principali fonti che lavorano sul dossier e che quasi certamente dovrà passare dallo stress test del dibattito politico sull’incremento delle spese militari, rivitalizzato dallo choc per l’aggressione russa in Ucraina.La scadenza del 2% di Pil al 2024 è prevista da un accordo Nato sottoscritto in Galles nel 2014. Era l’anno dell’invasione russa del Donbass e dell’annessione della Crimea. Da allora chiunque si è seduto alla Casa Bianca ha chiesto agli alleati di adeguarsi all’obiettivo. Per gli Stati Uniti era essenziale prima e lo è a maggior ragione ora dopo l’invasione unilaterale in Ucraina. La guerra che bussa alle porte dell’Europa svela la geografia frammentata e incoerente della sensibilità su armamenti e investimenti per la sicurezza militare. Ogni Paese della Ue ha i propri interessi strategici, dettati da una percezione più o meno alta del pericolo. A Est i timori sono maggiori, e la ferocia russa prova che non sono così infondati. In Italia, dove le preoccupazioni sono storicamente rivolte verso il Mediterraneo, negli anni si è alleggerito il capitolo di spesa militare fino a portare la percentuale dei contributi in rapporto al Pil nella parte bassa della classifica dei membri Nato.Al momento l’Italia è all’1,4%. Secondo i dati Nato forniti dalla Difesa potrebbe arrivare all’1,5 entro l’anno. Una cifra simile, 1,54, dovrebbe essere fissata nel Documento di economia e finanza che il governo approverà a giorni. La guerra in Ucraina è stato un acceleratore, ma Guerini lavora sul target del 2% da più di due anni, da quando si è seduto alla Difesa con Giuseppe Conte premier. Ha detto che punta a un «passaggio graduale» dai 25 miliardi attuali ai 38 miliardi l’anno. L’arrivo di Mario Draghi non ha cambiato la strategia. Anzi, come più volte ripetuto in queste settimane di guerra, il presidente del Consiglio è convinto che non bisogna avere timidezze. Sulla fedeltà alla Nato, sul progetto di Difesa europea, e anche sull’invio delle armi alle truppe ucraine che resistono all’aggressione di Vladimir Putin.Guerini può rivendicare di aver iniziato un percorso prima della storica decisione del cancelliere Olaf Scholz, presa sull’onda dell’indignazione per l’attacco a Kiev. A fine febbraio la Germania ha rotto un tabù annunciando la creazione di un fondo per la Difesa di 100 miliardi di euro. Uno strumento non così diverso da quello italiano: nel caso dei tedeschi però, per avere una disponibilità di cassa immediata, sarà finanziato dalla KfW, l’istituto che è l’equivalente della Cdp. Scholz ha detto che vuole muoversi rapidamente per raggiungere l’obiettivo Nato e offre una sfida, prima di tutto culturale, all’Europa che dibatte di riarmo e pacifismo.Dal 2015 le spese militari dell’Italia, nonostante le pressioni degli Usa, hanno galleggiato sempre attorno all’1,2% di Pil. Dal 2019 la tendenza si è invertita. Guerini, che due giorni fa si è beccato l’etichetta di «falco» dal governo russo, vuole andare avanti. Non solo per la minaccia di questi giorni. La concorrenza tecnologica globale è una partita complicata. O si gioca, o no. Anche perché ci sono due nuovi domini da presidiare: lo spazio e il cyber. «La Difesa è qualcosa di più che parlare di armi e basta. È ricerca e industria» ripete sempre. E il salto tecnologico, secondo fonti del ministero, è possibile solo con risorse certe, spalmate su quindici-venti anni, e non negoziate ogni anno.Oggi Guerini sarà a Bruxelles con il ministro Luigi Di Maio alla riunione del Consiglio europeo nel formato Esteri-Difesa per discutere l’approvazione dello Strategic compass, il documento sulle priorità strategiche per i prossimi «cinque-dieci anni» a cui l’Ue lavora dal 2020 e che è stato rivisto alla luce dello scenario stravolto dalla guerra. A Versailles, dieci giorni fa, i leader hanno decretato una spesa nazionale maggiore per la Difesa, un maggiore coordinamento dell’industria degli armamenti, dell’intelligence, ma mantenendo intatta la necessità di cooperare con la Nato. Per Draghi e per Guerini è essenziale evitare sovrapposizioni. Per questo l’Italia ha chiesto di inserire il rispetto degli impegni con l’Alleanza. È la Nato, secondo il premier e il ministro, a definire il perimetro di sicurezza e ad avere in mano il deterrente nucleare. In questo quadro, le ulteriori risorse europee possono servire a razionalizzare gli investimenti, a cofinanziare l’avvio di progetti industriali e al primo nucleo di intervento rapido, che il rapporto prevede composto da 5 mila uomini e operativo dal 2025.