La Stampa, 21 marzo 2022
Sulla Transnistria
C’è un Paese, estratto dopo una guerra di secessione dalla Moldavia, di cui si parla molto in questi giorni di guerra ed è la Transnistria. Una striscia di terra incastonata tra Moldavia e Ucraina, che malgrado abbia un proprio esercito, una polizia, una costituzione, una banca centrale, un parlamento, una moneta, un inno nazionale, legalmente non esiste, perché nessun altro Stato lo riconosce come tale.Ho avuto modo di visitarlo tempo fa e constatare quanto fosse imbevuto non solo dagli ideali slavi sostenuti da Mosca, ma anche da traffici di ogni genere: contrabbando di petrolio, sigarette, alcol, armi e lavaggio di denaro sporco. Prodotti illegali venivano importati, forniti di un sigillo di legittimità ed esportati. Il tutto condito da una nostalgica riesumazione dell’ortodossia sovietica, con la polizia segreta che si chiamava ancora Kgb, una statua di Lenin che troneggiava di fronte al palazzo presidenziale, una stella sovietica in cima al Parlamento e una falce e martello sul tetto della stazione ferroviaria.Grigori Marakutsa, obeso, massiccio presidente del Soviet Supremo, cioè del Parlamento, che avevo incontrato nel suo sontuoso ufficio, rifiutava sdegnosamente le accuse di corruzione: «So che dicono che esportiamo armi, che la nostra è un’economia criminale, noi invece abbiamo catturato e estradato criminali. Siamo pronti ad accettare monitoraggi per rimuovere sospetti».Il presidente di questo strano Paese era Igor Smirnov, sindaco della capitale Tiraspol ai tempi sovietici, uno dei suoi figli era capo della dogana, l’altro si occupava del traffico di armi, prodotte sul posto, come sistemi di lanciarazzi multipli Bm-21 Grad, armi anti tank Spg 9, antipersona Gp-25.Smirnov, ex ufficiale dell’Armata Rossa, aveva proclamato l’indipendenza della Transnistria dalla Moldavia nel 1991, aprendo una guerra di secessione che è stata domata solo con l’intervento della Russia un anno dopo. La Russia manteneva in loco un contingente di millecinquecento soldati ma, da allora, la Moldavia non ha avuto più alcun controllo sul territorio. Avevo incontrato Smirnov, con la sua faccia da operaio sovietico, nel palazzo presidenziale di Tiraspol, poco dopo che era stato eletto. Sulla sua elezione pesava il sospetto di qualche irregolarità, dato che in un collegio aveva ottenuto il 103% dei voti. Ma non si scompose affatto quando glielo feci notare. «È vero lo so che ci criticano è vero che non siamo riconosciuti da nessun altro Paese, ma abbiamo relazioni economiche con 86 Paesi». Saranno state le relazioni delle loro fabbriche di armi che hanno lasciato i marchi nei conflitti africani, nei Balcani, in Cecenia. Altre armi contrabbandavano svuotando l’arsenale di 40 mila tonnellate di ordigni (valore 8 miliardi di dollari) che era stato abbandonato a Tiraspol dai sovietici.«Soffriamo come tutti dalla dissoluzione dell’Urss, che era il nostro protettore», mi disse con evidente nostalgia a conclusione del nostro incontro. Una fedeltà all’Urss che continuava anche dopo la morte dell’Urss. —