Corriere della Sera, 21 marzo 2022
La rimozione di Beseda e Gerasimov
«Bisogna ricordare che la vittoria si raggiunge sempre non solo con la forza materiale di un singolo Stato, ma anche dalle risorse spirituali del suo popolo, dall’unità e dal desiderio di opporsi con tutta la sua volontà all’aggressione». Nel marzo del 2017, Valerij Gerasimov, a quel tempo capo di Stato maggiore da otto anni, scrisse un articolo su come il suo esercito si stava trasformando «per fare una guerra moderna». Sembrano uno scherzo del destino, queste parole che si applicano in modo perfetto a quanto sta accadendo in Ucraina, con una completa inversione di ruolo. Perché finora non è certo mancata la «forza materiale», ma tutto il resto.
Le informazioni sul campo sono di competenza del Quinto servizio, il settore esteri dell’Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb che ne ha mantenuto il quartier generale nell’enorme palazzo della Lubianka. L’espansione del ruolo dell’ex Kgb oltre i confini nazionali venne decisa alla fine degli anni Novanta dal suo capo di allora, un certo Vladimir Putin. Ma a partire dal 2004, questo nuovo ramo così strategico ha avuto al vertice Sergey Beseda, che fino ad allora aveva guidato il dipartimento dell’Fsb addetto alla sicurezza del presidente. Era un uomo di fiducia. Come Gerasimov, sopravvissuto alla rimozione del precedente ministro della Difesa Anatolij Serdyukov proprio per portare a termine la riforma dell’esercito russo.
L’ultima apparizione in pubblico del generale risale allo scorso 27 febbraio, quando non diede l’impressione di essere entusiasta dell’ordine di mettere in stato d’allerta le forze di deterrenza nucleare. Da allora, è sparito dai radar. A Beseda è andata anche peggio. Agli arresti domiciliari, come hanno rivelato i giornalisti Andrei Soldatov e Irina Borogan, che da anni si occupano dei servizi di sicurezza russi.
Le trame
L’intelligence di Kiev sostiene che l’élite moscovita trami per eliminare il presidente
Esiste un filo comune che lega questi due destini. Il Quinto servizio, spiegano Soldatov e Borogan, nasce per «spingere» i candidati graditi al Cremlino nelle elezioni dei Paesi confinanti, e ha sempre avuto l’Ucraina come priorità assoluta. Nel giugno del 2010 alcuni documenti rivelarono come questo settore indirizzasse i suoi report direttamente a Putin, circostanza che Beseda rivendicava con orgoglio. Nell’aprile del 2014, il ministero degli Esteri di Kiev chiese addirittura di poterlo interrogare, per conoscere i motivi della sua presenza durante la rivolta filoccidentale di piazza Maidan. Beseda se la cavò motivando la sua presenza con la necessità di garantire la sicurezza dell’ambasciata russa. I primi a non credere a questa versione furono l’Unione Europea e gli Usa, che lo inserirono tra le persone fisiche colpite dalle sanzioni dell’epoca. Ma da allora apparve chiaro come fosse lui l’uomo di Putin addetto alla raccolta di notizie sull’Ucraina. Al presidente sono bastate due settimane per capire che il suo amato Fsb non ci aveva capito poi molto. Quelle informazioni non corrette costituiscono però la base dell’intervento armato.
Ma Gerasimov non è certo una vittima del suo collega. La dottrina che porta il suo nome prevedeva una modernizzazione, cominciata nel 2009 con l’abbandono dell’impostazione «sovietica» dell’esercito, che si basava su un alto numero di soldati e scontava l’arretratezza delle sue strutture, a favore di forze armate dai numeri più ridotti composte da militari di professione. I 34 miliardi di dollari messi a disposizione ogni anno dal Cremlino a partire dal 2009 sono stati spesi nel settore tecnologico delle cyber guerre e in parte nell’aviazione. «Esistono ormai strumenti di natura non militare più efficaci della semplice forza delle armi» scriveva Gerasimov. Secondo l’intelligence americana, anche lui avrebbe fornito una rappresentazione della realtà falsata. In questo caso sullo stato di salute dell’esercito russo, ormai impantanato in una guerra da combattere con le forze di terra, sulle quali si è scelto di disinvestire.
Il capo dell’esercito e quello del Fsb sono entrambi Siloviki, termine che indica «gli uomini della forza» e in senso esteso identifica la colonna vertebrale del sistema di Putin. Erano garanti di quel potere di Stato considerato un contrappeso al crescente potere economico rappresentato dagli oligarchi. L’intelligence ucraina, certo non una fonte imparziale, sostiene che le élite della società russa tramano per eliminare il presidente il prima possibile e ripristinare così i legami economici con l’Occidente. Sono informazioni da prendere con le molle. Ma se confermate, queste due rimozioni dimostrano che Putin sta divorando i suoi figli. E che il vincolo di fedeltà con esercito e servizi segreti potrebbe non essere così stretto come viene descritto. Alla fine, sia Beseda e Gerasimov sono colpevoli di aver dato a Putin le risposte che lui desiderava sentire. Peccato che fossero tutte sbagliate.