la Repubblica, 21 marzo 2022
Il discorso di Zelenskyi alla Camera
Domani il presidente ucraino si rivolgerà al Parlamento italiano e non è del tutto chiaro quale accoglienza riceverà. Applausi, certo, ma pochi sarebbero sorpresi se Zelensky dovesse registrare qualche freddezza sul piano politico e più nette prese di distanza sul terreno mediatico (“talk show” e simili). E si capisce perché. In nessun paese occidentale come in Italia, e soprattutto in nessuna capitale aderente all’Alleanza Atlantica o membro dell’Unione, il dibattito sulla guerra di Putin è così acceso e gli argomenti tendenti a giustificare, o almeno a comprendere, le ragioni dell’invasione russa, in nome della “complessità” della crisi sono altrettanto diffusi sui mezzi d’informazione, in tv e sui “social”. Non è un caso se il presidente russo ha lasciato a un suo funzionario il compito di attaccare il governo italiano in modo insidioso, ricordando l’intervento dei militari russi in Lombardia all’inizio della pandemia. Si è molto scritto sul possibile messaggio in codice contenuto in quelle frasi inusuali, che rimproverano ai nostri governanti l’ingratitudine verso i soccorritori di allora. Di sicuro Mosca ha bisogno di ottenere qualche risultato nella guerra parallela che si combatte sul piano della comunicazione. Finora ha perso su tutta la linea e si trova pressoché isolata in Occidente. Viceversa, Zelensky si è rivelato un eccellente comunicatore: e non solo, come dicono sprezzanti quelli che la fanno facile, perché è un ex comico abituato al palcoscenico. Ma soprattutto per la buona ragione che difende la sua patria contro bombe e missili. Non sarà un uomo dal passato immacolato, e tuttavia oggi il problema non è con quali soldi ha comprato una villa a Forte dei Marmi, bensì se riesce a tenere unito il suo popolo e ad avere credito sul piano internazionale. A ovest di Mosca, la solidarietà verso Putin è evidente in Serbia. E procedendo oltre verso il Mediterraneo si arriva all’ambiguità italiana. Che non è del governo, schierato in modo netto sulle posizioni europee e atlantiche, con sostegno anche dell’opposizione. Ma è tipica di un mondo che negli anni ha intessuto relazioni con Putin, fino a stringere vincoli di sintonia politica e di interesse pratico. È a questo ambiente, che con la Lega e una buona parte dei Cinque Stelle prima maniera ha governato dopo il 2018, fino all’avvento di Draghi, che qualcuno sta chiedendo una prova d’amicizia nel momento del bisogno. C’è poi un altro reticolo che non ha costruito relazioni opache con Putin e che tuttavia è animato da un’antica e insopprimibile avversione verso il sistema delle alleanze occidentali, in primo luogo la Nato. Vi si unisce in qualche caso una tenace diffidenza verso la cultura occidentale quale è nata con l’illuminismo e si è articolata con il liberalismo. La matrice può essere di sinistra, con antiche radici nell’ideologia marxista di cui si avverte un’inconsapevole nostalgia; ovvero di destra: e qui non c’entra il fascismo, bensì una forma di misticismo di cui il massimo interprete è proprio il russo Dugin, uomo lontanissimo dalla cultura liberale e dall’idea di società figlia delle lotte e delle rivoluzioni occidentali. È singolare che i due rami si accavallino in Italia, traducendosi nel filo di comprensione verso l’avventura putiniana. Intanto si avvicina il 25 aprile, festa della liberazione e della guerra partigiana contro l’invasore. È giocoforza pensare che lo strano intreccio in quell’occasione si scioglierà. E senza incertezze.