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 2022  marzo 21 Lunedì calendario

Che cosa c’è dietro l’attacco russo al ministro Lorenzo Guerini

ROMA – «Mosca non perdona a Guerini di avere agito per mettere in assoluta sicurezza le nostre infrastrutture strategiche quando nel marzo del 2020 un contingente militare russo venne in Italia per l’emergenza Covid». Enrico Borghi, responsabile sicurezza del Pd, amico personale del ministro della Difesa, ha pochi dubbi: avere impedito allora l’attività di spionaggio dei russi è una delle ragioni del “pizzino” fatto recapitare da Putin al governo italiano. Borghi, le minacce di Mosca al ministro della Difesa Lorenzo Guerini a cosa mirano? «Sono frutto di propaganda per oscurare il dato di realtà che il blitzkrieg è fallito e la Russia si sta impantanando nelle steppe ucraine. Mosca non perdona poi al ministro Guerini di avere operato per mettere in assoluta sicurezza le nostre infrastrutture strategiche – porti, centrali, arsenali – quando a marzo 2020 un contingente militare russo venne in Italia per l’emergenza Covid». Lei è legato da una lunga amicizia a Guerini: come ha reagito in privato il ministro? «Ha rassicurato tutti noi. E ha sdrammatizzato. Ci vuole ben altro per spaventare un patriota vero, detto senza retorica, come Lorenzo». Gli aiuti russi all’Italia per il Covid hanno nascosto molte opacità? «I russi hanno interpretato la loro attività degli ultimi dieci anni immaginando che l’Italia fosse il ventre molle dell’Europa. Almeno dalla crisi del debito sovrano in poi. Probabilmente certe reazioni stizzite tradiscono il fatto che quello che credevano un “investimento” non ha ritorni». Chi volle quella missione anti Covid: furono i russi a proporsi o Palazzo Chigi, e l’allora premier Conte, a chiamarli? «Si sa che fu il risultato di una telefonata tra Conte e Putin, non conosco di più. Ripeto però che le nostre infrastrutture strategiche sono state tutelate. Putin l’aveva previsto inoltre come operazione di propaganda interna per avallare la sua tesi di superiorità del modello russo rispetto all’Occidente». Berlusconi non ha detto una parola su Putin. Salvini ha avuto relazioni molto strette con la Russia. Alcuni grillini sono russofili. Pezzi di politica nostrana sono stati o sono al servizio di Mosca? «Ci sono fatti che parlano da soli. Berlusconi non ha espresso un giudizio sulla guerra in Ucraina. L’automatico rinnovo del protocollo di collaborazione tra la Lega di Salvini e il partito di Putin è un fatto. Le posizioni di quei 5Stelle i quali sostengono che dopo Zelensky in Parlamento debba parlare anche Putin, sono l’altro tassello di questo puzzle. Per fortuna che il leader del M5S, Giuseppe Conte, ha fatto chiarezza. Però c’è “un prima e un dopo” il 24 febbraio del 2022, la data dell’inizio della guerra. È come il 22 settembre del 1947, quando Stalin fece nascere il Cominform, gettando il mondo dentro una polarizzazione che ha spazzato via i “terzismi”». In Italia insomma ci sono ambiguità politiche evidenti? «Pezzi interi dell’establishment, non solo politici, ma anche economici, finanziari, della comunicazione, hanno apertamente ammiccato al putinismo. Ora però, tertium non datur: da una parte c’è la democrazia, dall’altra l’autocrazia, l’assolutismo politico. Noi Dem non abbiamo dubbi sulla scelta dell’Italia». Quali sono le conseguenze oggi per la sicurezza italiana? «Oltre alla vicinanza geografica (Trieste è più vicina a Leopoli che a Palermo), parlerei di conseguenze “larghe”. Ll’impatto globale della guerra toccherà altre realtà geografiche apparentemente ora fuori da questo teatro. Tutto il Nord Africa vive di grano e di cereali assicurati dall’export di Russia e Ucraina che la guerra mette in discussione. Dobbiamo guardare in faccia la situazione se vogliamo evitare una ondata migratoria legata a un drammatico problema di fame». C’è il pericolo di una terza guerra mondiale? «Non dobbiamo neppure abituarci ad evocarla. Penso a quando Papa Francesco parlò di terza guerra mondiale a pezzetti: sembrava un paradosso, era una profezia».