la Repubblica, 21 marzo 2022
Fronda filorussa alla Camera. «Non ascolteremo Zelenskyi»
ROMA – In teoria c’è posto per tutti: Roberto Fico, per il collegamento con Zelensky di domani, ore 11, a Montecitorio, ha chiesto al cerimoniale della Camera di rispolverare la “modalità Mattarella” e cioè di sistemare deputati e senatori in ogni strapuntino ricavabile nell’emiciclo, tra scranni e tribune, come per il giuramento del presidente della Repubblica del mese scorso. La formula è quella delle grandi occasioni, anche perché il fatto in sé è storico: anche se stavolta sarà in video-call e il presidente ucraino apparirà sui due maxi- schermi accanto al bassorilievo bronzeo di Calandra, è la terza volta che un capo di Stato estero parla alla Camera, dopo re Juan Carlos e papa Giovanni Paolo II. A tutti i parlamentari è stata spedita una mail per confermare o meno la presenza, scadenza a mezzogiorno di oggi. Ma non tutti ci saranno. Almeno una ventina di posti rimarranno vuoti. E non è un caso che i forfait arrivino dai deputati che non hanno votato a favore del decreto Ucraina giovedì scorso o dai senatori che si accingono a fare lo stesso ora che il testo è in dirittura d’arrivo a Palazzo Madama. Qualcuno lo ha già fatto sapere, come Simone Pillon della Lega ed Enrica Segneri del M5S, che bolla l’intervento di Zelensky come «inopportuno». O Veronica Giannone, ex grillina traslocata in Forza Italia: «Non sono tra quelli che dicono: allora venga anche Putin», come aveva fatto il pentastellato Nicola Grimaldi, ma è convinta, Giannone, che sia una «spettacolarizzazione». E confida: «Molti colleghi sono rimasti spiazzati all’annuncio di questo collegamento». Soprattutto quelli con simpatie filorusse, più popolosi nelle file di M5S e Lega. Marcherà visita anche la senatrice del Misto, ex pentastellata, Bianca Laura Granato. Altri in queste ore si arrovellano nel morettiano “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Matteo Dall’Osso, altro ex M5S ora in FI, spiega: «Sono orientato a non esserci, si dà visibilità solo a una parte. Anche Putin in Aula? Chi lo chiede fa bene!». Si sfila pure Emanuele Dessì, sempre ex Movimento, ora nel Partito comunista. È appena tornato dalla Bielorussia, dove ha incontrato i luogotenenti di Lukashenko. Il senatore Gianluigi Paragone, che dopo i 5 Stelle ha fondato Italexit, ha già detto: «Alla Camera né Zelensky, né Putin». Difficile che ci sia Vito Comencini della Lega, che fino a qualche giorno fa rilasciava dichiarazioni dalla Russia, dicendosi pronto a partire per il Donbass. Probabile che il presidente ucraino se ne faccia una ragione. L’intervento, che durerà circa un quarto d’ora, sarà trasmesso su Rai1, preceduto da 2 minuti a testa per Fico e la presidente del Senato Casellati. Poi parlerà il premier Draghi. Intanto la Farnesina – ma la pratica è seguita da vicino anche al Quirinale – è al lavoro per capire come revocare le due onorificenze attribuite ad Alexei Paramonov, l’alto dirigente del ministero degli Esteri russo che sabato ha minacciato l’Italia di «conseguenze irreversibili» in caso di nuove sanzioni, attaccando il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Le onorificenze sono due: la prima è del 2018, un cavalierato al Merito, la seconda del 2020, l’Ordine della Stella d’Italia. Entrambe su proposta del Ministero degli Esteri, guidato prima da Enzo Moavero, tecnico del governo giallo-verde, poi da Luigi Di Maio. Proprio Di Maio il primo marzo ha annunciato la linea dura: saranno ritirate le decorazioni assegnate negli anni a una serie di cittadini russi. E ora l’intenzione è di inserire nel pacchetto anche Paramonov. Tocca capire come: per prima cosa servirà una richiesta formale, da Palazzo Chigi e dalla Farnesina. Resta da capire se servirà anche la consegna di una memoria difensiva da parte di Paramonov. Direttamente da Mosca.