Fiorenza Sarzanini per www.corriere.it, 20 marzo 2022
NON È CHE LA RUSSIA CI MINACCIA PERCHÉ CI TIENE PER LE PALLE? - DIETRO L’ATTACCO DI MOSCA ALL’ITALIA POTREBBE ESSERCI UN RICATTO SUGLI ACCORDI SIGLATI DURANTE LA PANDEMIA DI COVID - FIORENZA SARZANINI: “NEL MARZO 2020 ATTERRARONO A PRATICA DI MARE 13 QUADRIREATTORI DECOLLATI DA MOSCA PER PORTARE AIUTI SANITARI. NELLA LISTA DEI 104 COMPONENTI DELLA DELEGAZIONE FIGURANO SOLO 28 MEDICI E 4 INFERMIERI. GLI ALTRI SONO MILITARI: QUAL È STATO IL LORO RUOLO? E QUALI ACCORDI SONO STATI STRETTI NEI DUE MESI DELLA LORO PERMANENZA IN ITALIA? LA RITORSIONE POTREBBE ESSERE PROPRIO IL DISVELAMENTO DI…” -
È la sera di 22 marzo 2020, domenica, quando all’aeroporto militare di Pratica di Mare, alle porte di Roma, atterrano tredici quadrireattori Ilyushin decollati da Mosca. Ad attenderli c’è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, l’accordo per la missione è stato preso il giorno precedente con una telefonata tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente russo Vladimir Putin. Il livello dei rapporti tra Italia e Russia in quel momento è all’apice.
Nel luglio precedente Putin è stato ricevuto con tutti gli onori a Villa Madama per una cena che ha unito imprenditori e politici, con 5 Stelle e Lega a farla da padrone.
Quando ha inizio la missione «Dalla Russia con amore» a marzo di due anni fa l’Italia ha 80.539 positivi da Coronavirus e 8.165 decessi. La zona peggiore è quella di Bergamo con 7.458 contagiati. Ma a preoccupare è soprattutto la carenza di ventilatori e mascherine. Ne servono milioni al giorno ma l’Italia non ne produce e quindi la ricerca all’estero è spasmodica. Ecco perché inizialmente la missione russa viene accolta positivamente.
La minaccia per le sanzioni Adesso che Alexei Vladimorovic Paramonov, 60 anni, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri ha minacciato l’Italia di «conseguenze irreversibili» se aderirà al nuovo piano di sanzioni contro Mosca, ha bollato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini come «un falco» e ha accusato il nostro Paese di aver «dimenticato gli aiuti ricevuti dal Cremlino durante la pandemia», si ha la conferma che ci sia molto altro dietro quella missione di due anni fa.
La diplomazia e l’intelligence italiana in queste ore rassicurano sulla portata effettiva dell’avvertimento che «rientra nella propaganda di Mosca anche perché affidato a una figura di rango non elevato».
Senza però escludere che la ritorsione possa essere proprio il disvelamento di tutti gli accordi presi in quei due mesi di permanenza dei militari russi in Italia. Un vero e proprio ricatto che potrebbe mettere in difficoltà chi, all’epoca, aveva condiviso con i russi informazioni e siglato accordi economici e commerciali.
La vera minaccia di Mosca nei confronti dell’Italia potrebbe essere proprio questa. Ecco perché è utile tornare a quel 22 marzo del 2020 e ricostruire che cosa accadde.
Militari e scienziati Quella sera a chi è in servizio a Pratica di Mare basta scorrere la lista dei componenti della missione per comprendere che qualcosa non torna.
Ufficialmente si tratta di aiuti sanitari ma nella lista dei 104 nomi ci sono solo 28 medici e quattro infermieri. Gli altri sono militari.
A guidare la spedizione è il generale Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo. Nel suo curriculum c’è la collaborazione con aziende che producono e riparano armi per la protezione chimica, radioattiva e biologica.
Con lui ci sono Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi lavorano al Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Putin il 27 gennaio 2020 ha affidato la supervisione del contrasto all’epidemia.
Qual è il vero ruolo di questi scienziati in Italia? E quali sono i compiti affidati ai militari? Ma soprattutto quanti sono gli uomini del GRU, il servizio informazioni delle forze armate russe?
Gli obiettivi segreti Il 5 marzo scorso, due settimane dopo l’attacco della Russia contro l’Ucraina, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori scrive su Twitter: «Col senno di poi è inevitabile tornare alla missione russa in Italia della primavera 2020. Sono testimone dell’aiuto prestato a Bergamo dai medici del contingente, ma va ricordato che a Pratica di Mare arrivarono più generali che medici. Fu aiuto, propaganda o intelligence?».
Ci sono alcuni elementi che non possono essere ignorati. Nel febbraio 2020, quando il mondo affrontava l’emergenza da Coronavirus, i russi chiesero alle autorità cinesi di poter andare a Wuhan, lì dove tutto era cominciato, ma non ottennero il permesso. Ufficialmente ci furono contatti e riunioni soltanto in videoconferenza.
L’Italia diede invece libero accesso ai propri reparti ospedalieri, ai laboratori senza vincoli . Tanto che qualche mese dopo il New Yorker rivelò che «il Dna di un cittadino russo che si è ammalato in Italia il 15 marzo è stato usato per elaborare il vaccino Sputnik».
Tra i materiali scaricati c’erano anche 150 ventilatori che dovevano servire per le emergenze, ma numerosi operatori sanitari denunciarono le difficoltà a utilizzarli e qualche mese dopo si scoprì che quegli stessi strumenti a Mosca si erano incendiati uccidendo almeno cinque pazienti.
Lo Sputnik, un anno dopo, è stato al centro di un accordo annunciato dall’assessore della Sanità del Lazio Alessio D’Amato «per la collaborazione scientifica tra l’Istituto Spallanzani di Roma e l’Istituto Gamaleya di Mosca per valutare la copertura delle varianti di Sars-CoV-2 anche del vaccino Sputnik V».
Il problema è che Ema non ha mai autorizzato lo Sputnik, ma nonostante questo nell’ultimo anno ci sono stati numerosi scambi di dati tra le due strutture sanitarie. Una collaborazione che lo stesso Spallanzani alla fine ha deciso di interrompere qualche giorno fa, quasi tre settimane dopo l’inizio dell’invasione.
Ad alimentare il sospetto che molto ci fosse da nascondere in quella missione è stata anche la lettera inviata al quotidiano La Stampa due anni fa dopo gli articoli di Iacopo Iacoboni che per primo aveva rivelato la missione russa in Italia, firmata da Igor Konashenkov, capo della comunicazione ufficiale di Mosca. Quella lettera si concludeva con queste parole: «Chi scava la fossa, ci finisce dentro».