la Repubblica, 20 marzo 2022
Nuovi studi sulla lingua delle balene
Cosa vorrà dire il tintinnio emesso dal piraña o i clic della balena, tanto ravvicinati da somigliare a un motore a scoppio. Un pesce all’improvviso emette una raffica simile a un mitra, mentre un altro sembra che faccia le fusa. C’è un mondo di voci, là sotto, e l’unica possibilità per noi uomini di intuire quali sono gli argomenti del giorno, nei tre quarti di pianeta ricoperti dall’acqua, è fare ricorso all’intelligenza artificiale.
Project Ceti ad esempio (Cetacean Translation Initiative) riunisce una decina di università americane per decifrare il vocabolario dei capodogli. È una lingua complessa, quella dei cetacei. Le balene hanno i loro dialetti, mentre i delfini usano richiami specifici per gli individui a loro vicini: un po’ come se chiamassero gli amici per nome. I loro clic vengono emessi con ritmi ben precisi, simili al codice Morse. I ricercatori di Ceti sperano che là dove non arriva l’intelligenza umana – riconoscere le regolarità dei suoni e dedurne delle regole – riesca l’intelligenza artificiale. Centinaia di microfoni montati su boe nel Mar dei Caraibi, oltre alle antenne applicate sul corpo dei cetacei, raccoglieranno le “parole” delle balene, affidandole a un computer per l’interpretazione. Il sogno, spiegano i ricercatori di Ceti, non è solo capire la lingua delle balene, «ma anche saper rispondere», per avvertire ad esempio di un pericolo in arrivo.
La tecnica non è troppo diversa da quella che usano Alexa o Siri, gli assistenti vocali cosiddetti intelligenti. Oggi sembra un sogno usarli per gli acquari, gli abbaii o i miagolii domestici, ma i primi mattoni esistono già. Una ricerca del 2019 di Harvard e Imperial College ha dimostrato proprio con una rete neurale che i “clic” delle balene seguono cadenze regolari e possono essere suddivisi in categorie. Sempre nel 2019 – questa volta sulla terraferma – l’università di Washington a Seattle ha presentato DeepSqueak, un sistema di intelligenza artificiale capace di dividere in sillabe e classificare gli ultrasuoni emessi dai topi quando comunicano.
Per imparare la lingua degli animali, il computer deve fare da solo. L’uomo non ha alcun elemento per aiutarlo. Se l’intelligenza artificiale riesce oggi a decifrare alcuni testi epigrafici molto compromessi, lo fa partendo dalla conoscenza delle lingue antiche. Nel caso degli animali, dovrebbe imparare tutto da solo, semplicemente ascoltando e riascoltando le loro conversazioni. E forse un giorno l’obiettivo di capire la lingua delle altre specie non sarà più prerogativa dell’immaginario Dr. Doolittle. Per arricchire di parole il vocabolario dei mari, intanto, e fornire ai computer dati da macinare, un gruppo di scienziati dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Francia alla Nuova Zelanda, ha deciso di unirsi nel progetto Glub, che potrebbe sembrare il verso di un pesce, ma sta per “Global Library of Underwater Biological Sounds” o Biblioteca mondiale dei suoni della vita sotto ai mari. Il suo scopo per ora è registrare il panorama sonoro degli oceani, ma fra i suoi prossimi obiettivi – citati a febbraio in una pubblicazione su Frontiers in Ecology and Evolution — c’è anche quello di sfruttare l’intelligenza artificiale per la classificazione dei suoni. Tra le 250mila specie marine note, si stima che tutti i 126 mammiferi emettano una voce, oltre ad almeno mille specie di pesci. Progetti simili – basati sempre sulla classificazione, non ancora sulla comprensione – studiano il canto degli uccelli. Bird-Net ad esempio sfrutta l’intelligenza artificiale per riconoscere da quale specie sia emessa una melodia. Grazie al lavoro della Cornell University e del Politecnico di Chemnitz in Germania, oggi riesce riconoscere 3mila specie. E in futuro forse potrà anche capirle.