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 2022  marzo 20 Domenica calendario

Biografia di Christian De Sica raccontata da lui stesso

Professionista assoluto. “Perché nella mia vita ho avuto una bella scuola; secondo Pupi Avati sono l’unico attore che sa stare su un set, e non si riferisce alla recitazione”. A cosa? “Sostiene che non rompo mai i coglioni e sto attento, mentre spesso molti restano lì e danno fastidio al regista, all’operatore o al direttore della fotografia”. Invece? “Non bisogna parlare, mai correre, solo camminare ed è vietato passare davanti alla macchina da presa”.
Christian De Sica è una sorta di Cassazione della recitazione, di decalogo dei giusti comportamenti, di memoria storica di emozioni, intonazioni, processi mentali e cinematografici. Di amicizie. Di riti. Di debolezze. Di famiglie che durano l’illusione di un set. E se un tempo, per molto tempo, è stato De Sica figlio di Vittorio, ora è De Sica erede e portatore sano di un cinema nato il secolo scorso. “La regola più importante? Restare bambini”.
Enrico Vanzina su di lei: “Sa sempre le sue battute e quelle altrui”.
Un tempo conoscevo l’intero copione; gli attori spesso imparano quelle del giorno, mentre io devo andare a dormire tranquillo, non posso studiare all’ultimo; mio padre sosteneva: “Se la tua parte la conosci come l’Ave Maria, dopo puoi giocarci sopra”.
E invece?
Molti colleghi aspettano l’Arcangelo Gabriele per trovare le giuste parole; sempre papà aggiungeva: “Non è importante come si dice la battuta, ma guardare negli occhi chi ti sta davanti e ascoltarlo”.
Se l’attore è cane si innervosisce?
Sì, perché sbaglia e devo ripetere; (pausa) amo tutti gli attori, perché questo è un mestiere costruito senza una corazza, da bambini non cresciuti.
Obbligati a non crescere.
Se uno la mattina si guarda allo specchio, prova le battute, poi si incipria, si preoccupa del naso lucido e cerca la bella figura, non può che restare infantile.
Un po’ è cresciuto?
No! Ho settantuno anni, il meccanismo è leggermente arrugginito, ma lo spirito è di un sedicenne.
La chiamano maestro?
Sì, e mi dà un po’ fastidio.
Davvero?
Mi fa sentire l’età.
Lei chi chiamava maestro?
Nessuno.
Mai?
Erano tutti amici di famiglia, da Fellini a Rossellini fino ad Alberto (Sordi).
Bel vantaggio.
Sordi era mio zio, Rossellini un secondo padre, visto che prima di Silvia (la moglie) sono stato con sua figlia; poi Mastroianni ha iniziato con mio padre; (ci pensa) questo è un bene perché mi sono reso conto che la realtà è un’altra e il rutilante mondo dello spettacolo non esiste.
Cosa esiste?
Soggetti vari, come ogni realtà; poi per fortuna ho incontrato molte persone intelligenti, non quei cazzoni che si atteggiano a miti.
Sono più di cinquant’anni dal suo esordio.
Il debutto è con Rossellini, con me da poco maggiorenne: ero terrorizzato perché erano tutti attori provenienti della Comédie française; (pausa) Roberto non amava gli attori, il massimo dei suoi consigli era “fai de meno, non come tuo padre”; poi ogni tanto mi comandava: “Che vuoi diventare come Vittorio?”. “Magari!”. “È un mestiere da fannulloni”.
Ha conosciuto altri registi “ostili”?
No, mio padre amava gli attori. E io come lui. Non ho mai litigato con nessuno.
Difficile trovare qualcuno che parli male di lei.
(Ride) Ogni tanto il Fatto.
Qualche critica…
Ora sono in giro con il mio spettacolo Una serata tra amici, vado in scena con Pino Strabioli: lì entro dalla platea, e i primi minuti li passo a salutare il pubblico. Trovo i giovanissimi che mi trattano come uno zio.
Soddisfazione.
Alla mia età avere un seguito così non è comune.
E il dopo-teatro?
Devastante: negli ultimi anni ho preso trenta chili proprio per le cene a tarda sera.
Secondo Strabioli lei è una delle persone in assoluto più simpatiche.
Insieme ci divertiamo molto, poi Pino è fondamentale perché sono rincoglionito e spesso non ricordo le battute, così interviene lui.
Ha il vuoto?
No, quello mi ha preso solo una volta: ero al Sistina, Silvia mi aveva appena chiamato per un problema e al momento di entrare in scena non ricordavo nulla.
Soluzione?
Ho detto la verità; (cambia tono) è sul palco che dimostri di essere un attore.
Mentre il cinema?
È un grosso equivoco, perché davanti alla cinepresa possono rendere pure i non professionisti, come mio padre e Rossellini hanno dimostrato; Maggiorani (il protagonista di Ladri di biciclette) fu invitato a Hollywood: poco dopo lo rispedirono a casa.
È facile montarsi la testa?
Sì, ma a volte i non professionisti sono più bravi degli attori; papà avvertiva Paolo Stoppa e Gino Cervi: “Attenti, il non professionista non recita, quindi vi può fregare”.
Capolicchio ricorda: “Vittorio De Sica si faceva chiamare commendatore”.
(Ride) Non credo, al massimo lo prendeva in giro; un giorno vado sul set de Il giardino dei Finzi-Contini e trovo papà impegnato con il nodo alla cravatta di Lino. Stringeva. Stringeva. Fino a quando l’aiuto regista: “Dobbiamo girare, va via la luce!”. “Lasciami almeno il mio momento di frociaggine”.
Sempre per Vanzina, lei si è schiacciato troppo sui cinepanettoni.
Un po’ è vero; purtroppo in questo Paese quando interpreti una volta il cowboy, poi tutta la vita avrai quella maschera, e così con me; con De Laurentiis firmavo contratti magari di cinque film, e di questi cinque solo tre dovevano essere “panettoni”…
E poi?
Finito il terzo arrivava Aurelio accompagnato da un interrogativo retorico: “Perché vuoi girarne uno drammatico? Non incassiamo una lira”; e poi mi faceva un po’ terra bruciata con gli altri.
Adesso?
Giro meno cinepanettoni e sono arrivate offerte che non credevo, come Comedians di Salvatores o il prossimo di Virzì.
I cinepanettoni sbancavano.
Natale sul Nilo ha incassato 45 milioni di euro. De Laurentiis ci si è comprato il Napoli.
Quindi è impegnato con Virzì.
Mi trovo benissimo, perché dopo tanti anni di cinema, Paolo mantiene l’occhio e l’atteggiamento da neofita entusiasta.
Come lei.
Quando giro sono talmente felice da arrivare per primo sul set; a me piace stare in quell’ambiente, studiare, parlare con gli elettricisti, con i macchinisti. Oramai li conosco tutti; l’altro giorno, sul set, ho incontrato degli operai, e uno mi ha fermato: “Sono il figlio del capo elettricista…”. Ecco, adesso lavoro con i figli di.
Secondo Monicelli la commedia è finita quando il cinema è sceso dall’autobus.
Lo sosteneva anche Visconti con mio padre, ma non è stato questo; la loro generazione ha commesso un errore: quando sono diventati famosi si sono chiusi nelle case e hanno continuato a frequentarsi tra di loro; Visconti disse a papà: “Non possiamo più girare un film come Ladri di biciclette o La terra trema: ti conviene andare avanti con film tratti da libri. Io mi dedico a Morte a Venezia”. E papà stava per girare Il Giardino. Non conoscevano più il presente. E questo è capitato anche agli attori.
Adesso è un grande momento per Napoli…
René Clair spiegava a mio padre: “Vittorio, per te è più facile: io quando devo girare un film, per scegliere gli attori, sono costretto ad andare all’Accademia di Arte drammatica, perché la gente comune non sa recitare, mentre a te basta camminare per Napoli, dove sono obbligati a mentire per sopravvivere”; lì ci sono nati: basta pensare a Enzo Cannavale, un grande, poco utilizzato.
Caratterista.
A parte Totò, allora per il cinema dovevi essere bello; oggi ci sono pure i ragni.
Lei è bello.
Sono parte dei simpatici.
A vent’anni era brutto?
Non ero Brad Pitt.
La imbarazzavano le scene di sesso?
No, perché sono incosciente. In un film con la Giorgi (Conviene far bene l’amore, 1975) giravo sempre nudo per il teatro; c’è un gruppo di attori, e penso a Banfi, Boldi, Carlo (Verdone), che ha spinto molto sulla comicità, mentre oggi stanno attenti, altrimenti non gli danno il David. È una fregatura per i comici. A noi non interessava, era più importante la risata.
Sono 40 anni da Viuuulentemente mia.
Per quel film dovevo interpretare il ruolo di un playboy, però ero certo che non mi avrebbe portato a nulla, quindi chiesi a Vanzina di cambiare con l’oste gay, spagnolo, con tono di voce e atteggiamenti da stronzo.
E…?
Grazie a quello ho proseguito con Sapore di mare.
In Viuuulentemente c’era la Antonelli.
(Tono quasi commosso) Carina, con lei ho girato tre film; (pausa) era fragile, molto fragile; il povero Francesco Nuti mi ripeteva sempre: “Reggere il successo non è facile”. Anche mio cognato Carlo, dopo l’exploit con Un sacco bello, entrò in crisi: il successo ti può stravolgere, ti puoi sentire una pedina mossa, non hai più i tuoi spazi.
L’anonimato è un bene…
Prezioso; uno si impegna in questo mestiere per piacere al pubblico, ma quando non si è più anonimi si apre un fronte: per molti non è facile.
Lei?
Evito le passeggiate, altrimenti metto la coppola, gli occhiali neri, la mascherina e soprattutto guardo sempre per terra; attenzione: mi fa piacere, o sarebbe finita.
La sua famiglia come ha vissuto la fama?
Tranquilli; quando erano piccoli mi infastidivo solo se per strada li fermavano e li abbracciavano; anche quando è morto mio padre era tutto strano, alterato: chiunque si buttava addosso alla bara, piangevano, partivano gli applausi. Da personaggio pubblico diventi parte di un contesto più grande.
È mai scappato?
(Ride) Qualche volta da alcune galline che urlavano il mio nome; (cambia tono) quando mamma stava morendo sono andato al Colosseo per una passeggiata, ovviamente ero triste, con lo sguardo perso, fino a quando ho incontrato un tizio: “A Cri’, ma che è sta faccia da stronzo, fattela ‘na risata!”.
Ha risposto?
Ho continuato a camminare; comunque ci sono vantaggi.
Il primo?
Trovi posto al ristorante.
Sono trent’anni da Ricky & Barabba…
Da regista ho girato una decina di film.
Il suo preferito…
Uomini Uomini Uomini, su un gruppo di amici omosessuali, con De Laurentiis che aveva paura, e invece ha incassato bene e ha girato il mondo.
Ora tra i giovani si parla di sessualità fluida.
Sarebbe?
Nessuna preclusione a prescindere.
Allora sono bisessuali.
Niente categorie.
Una volta ho chiesto a un attore: “Sei mai stato con un uomo?”. E lui: “Sì, ed è stato insipido e doloroso”.
Da poco è morta Monica Vitti.
L’ho conosciuta grazie a mio padre, poi abbiamo girato Un amore perfetto, o quasi, interpretava mia madre, mentre Raf Vallone era mio padre: donna simpatica; un giorno le riprese erano in alto mare su un motoscafo, lei tutta truccata, io con gli occhi rossi e 39 di febbre.
Quindi?
A un certo punto il regista si arrese per le mie condizioni: “Torniamo in albergo, riproviamo domani”. E Monica: “Ma no cazzo, me so’ preparata!!”. Mi voleva ammazzare.
È vero che si sentiva brutta?
Era bellissima e ha avuto la fortuna di incontrare Roberto (Russo): quando si sono messi insieme, tutti a criticarli, a dire “guarda la signora che sta con un ragazzino”; invece né Michelangelo Antonioni, né Carlo Di Palma se ne sono occupati tanto. Roberto le è rimasto vicino per anni, fino alla fine: ogni mattina la portava a Villa Borghese per una passeggiata.
L’attrice più sexy con la quale ha lavorato?
Ornella Muti: ha quello sguardo che a noi uomini piace.
Qual è?
Tra la mamma e la tipa mooolto sveglia. Ed è pazzesco.
Lei chi è?
Un ragazzino non cresciuto.