la Repubblica, 20 marzo 2022
I successi di Biden
In attesa di conoscere come Mosca tenterà di risollevare le sorti della campagna militare in Ucraina, frenata dalla sorprendente resistenza armata degli ucraini e da gravi errori tattici russi, le maggiori novità stanno avvenendo sul fronte opposto, ovvero quello dell’alleanza occidentale guidata dagli Stati Uniti.
Innanzitutto, la leadership di Joe Biden, negli Stati Uniti e nella Nato, ha archiviato le aspre contestazioni dovute ai pesanti errori commessi in agosto nella ritirata da Kabul perché il presidente Usa appare saldo tanto nella guida delle operazioni Nato a sostegno della resistenza ucraina quanto nei tentativi diplomatici di creare una convergenza con la Cina di Xi Jinping.
Il maggior risultato di Biden è nella forte coesione registrata fra Stati Uniti ed Unione Europea nel reagire all’invasione russa: prima ha ottenuto dal cancelliere tedesco Olaf Scholz lo stop al Nord Stream 2 e l’aumento della spesa militare, poi ha guidato le più grandi economie del Pianeta (Giappone incluso) ad applicare le maggiori sanzioni finanziarie di sempre al Cremlino, e quindi ha diretto il Pentagono (con il cruciale sostegno britannico) a realizzare la più massiccia fornitura di armi ad una resistenza anti-russa dai tempi dell’Afghanistan, all’inizio degli anni Ottanta.
Se a questo aggiungiamo la capacità dell’intelligence Usa di prevenire – e divulgare – sistematicamente le mosse di Mosca contro l’Ucraina sin da metà novembre, l’abilità della Nato nel coinvolgere a pieno titolo Svezia e Finlandia nelle proprie decisioni difensive, il successo nell’estendere le sanzioni a Mosca praticamente a tutti i maggiori centri finanziari del Pianeta e il rafforzamento dello schieramento militare Usa in Europa – riportandolo a centomila soldati – non è difficile dedurre che Biden è riuscito in appena un mese a sfruttare gli errori di Putin per tornare a vestire con efficacia le vesti di “leader del mondo libero”, rendendo più coeso e forte il fronte delle democrazie. Come conferma anche la vasta solidarietà popolare per l’Ucraina in Europa e negli Stati Uniti, che ha portato una moltitudine di aziende private a scegliere di abbandonare la Russia.
E non è tutto perché a tale scenario va sommato il fronte negoziale: i due alleati di Washington più vicini al Cremlino – Israele e Turchia – sono protagonisti di delicate mediazioni che tengono aperti altrettanti canali con Putin nei quali si affrontano i temi assai concreti della possibile trattativa con Volodymyr Zelensky; il Pentagono ha trovato interlocutori seri nello stato maggiore russo per tenere sotto controllo lo scenario nucleare; e Biden in prima persona ha parlato con il collega cinese Xi registrando una convergenza di indubbio valore sul giudizio negativo sul conflitto, a dispetto delle rivalità che separano le due superpotenze globali.
Ovvero, sebbene la Storia ci insegna che in ogni conflitto armato tutto può cambiare assai rapidamente, al momento Biden sta riuscendo a tenere assieme un vasto fronte anti-russo che si articola su tre direttive: forte coesione economico-militare con l’Europa su sanzioni a Putin e armi per Kiev; sostegno ai tentativi negoziali di Zelensky grazie alle triangolazioni via Gerusalemme ed Ankara; dialogo crescente con Pechino per individuare una soluzione comune, quando e come sarà possibile, per far tacere le armi in Ucraina.
Per un presidente come Joe Biden, con la popolarità in evidente calo e timoroso di perdere le elezioni di MidTerm in novembre, significa essere riuscito a trasformare l’affondo militare di Putin in un’occasione di risveglio – se non riscatto – personale, politico e internazionale.
È questa la maggiore differenza fra la reazione di Biden all’invasione dell’Ucraina e il basso profilo che i predecessori George W. Bush, Barack Obama e Donald Trump dimostrarono in occasione delle precedenti azioni militari ordinate da Putin: in Georgia nel 2008, in Crimea e Donbass nel 2014, in Siria nel 2015 e in Libia nel 2017.
Resta da vedere come questa variegata alleanza di nazioni che si ritrova attorno alla leadership americana saprà affrontare le molteplici, e dure, prove in arrivo.
Sul fronte militare incombe la seconda fase dell’offensiva russa, che promette di essere più aggressiva contro le città ucraine e minacciosa contro chi rifornisce di armi Kiev, e ciò significa che la Nato potrebbe trovarsi presto ad affrontare attacchi ai civili ucraini con armi non convenzionali, provocazioni dirette, incursioni cyber o mosse ibride tese a fiaccare la coesione interna. Sul fronte negoziale Putin può tentare di fare leva sul solido legame con l’establishment militare di Pechino per far crollare come un castello di carte il timido dialogo Biden-Xi.
E poi c’è il fronte interno ai Paesi democratici, dove Mosca negli ultimi anni ha accumulato un serbatoio di relazioni politiche ed economiche, soprattutto ma non solo nello schieramento populista, che ora cercherà di attivare per creare dei focolai di aggressiva opposizione interna alla strategia della Nato, al fine di scompaginare dal di dentro l’alleanza pro-Ucraina che Biden sta tentando di rafforzare.
Poiché il Cremlino sa bene che dall’esito della campagna militare in Ucraina dipende non solo la ridefinizione degli equilibri internazionali desiderata da Mosca ma anche la stessa leadership di Vladimir Putin, è lecito aspettarsi una Russia molto determinata su ogni fronte: pronta a giocare qualsiasi carta, anche asimmetrica, per piegare la resistenza ucraina, far implodere il fronte delle democrazie e rafforzare il legame strategico con Pechino. Le minacce profferite ieri nei confronti del nostro Paese dimostrano proprio tale determinazione a compiere ogni mossa, anche la più pericolosa e disinvolta, per uscire dall’angolo.
Ecco perché i risultati, positivi e importanti, finora ottenuti dall’amministrazione Biden restano in bilico e l’Europa – Italia inclusa – è destinata a diventare il campo di battaglia del tentativo russo di scongiurare la più clamorosa delle sconfitte, militari e politiche. Come prevede il presidente francese Emmanuel Macron dobbiamo dunque aspettarci un «conflitto ad alta intensità» per il semplice fatto che, nelle parole del premier Mario Draghi, «Vladimir Putin ha scelto la guerra».
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