la Repubblica, 20 marzo 2022
Il giaccone di Putin
Caro Merlo, Putin, epigono dei dittatori del Novecento, in giaccone modaiolo, ha mostrato nella pagliacciata allo stadio la stessa fragilità esibita col tavolone smisurato. Giorgio Villano – Milano No. Allo stadio Putin era molto più forte. Nelle dittature le cerimonie pubbliche esibiscono e fabbricano il consenso. Solo noi, che viviamo nel mondo libero, percepiamo come grottesche queste adunate che, con le musiche e i simboli gioiosamente aggressivi, confezionano le emozioni collettive. Pensi ai nostri nonni affascinati dal salto nel cerchio di fuoco. La folla eccitata dalla Z e gli appelli alla denazificazione sono vitali per Putin, quanto il controllo dell’informazione e la prigione per i dissidenti, perché forniscono un pensiero già pensato e trasformano il popolo in gregge. In generale, nelle adunate non nascono ma muoiono le idee e persino nelle democrazie le libere manifestazioni sono demagogia organizzata. Figuriamoci nelle dittature dove edificano un consenso che non è fatto solo di paura. Quella che lei chiama “pagliacciata” non è debolezza goffamente travestita da forza come troppi hanno scritto. Al contrario, è la potenza, fatta di violenza e di conformismo, che forgia e accompagna ogni russo “dalla culla alla bara”. Pensi alle parate cinesi e agli applausi a Xi Jinping, con i gesti ripetitivi e i ritmi spersonalizzanti della catena di montaggio. Putin infine non ha la teatralità di Mussolini o di Hitler. Semmai il modello è Stalin, modesto e spietato, macho e solitario e tra gli zar predilige Alessandro III, l’orso che amava la semplicità. È vero che mai Stalin avrebbe indossato quel bel giaccone blu scuro di Loro Piana, in cachemire, piume d’oca e lana, che è discreto ma molto costoso. Di sicuro non era uno degli abiti sgargianti degli oligarchi. Il Telegraph ha evocato lo “stealth wealth”, che è lo stile da “ricchezza nascosta”. Insomma, il popolo c’era e il giaccone del dittatore era bello. Il brutto era lui: Putin. Caro Merlo, ho letto la sua risposta su Balbo e ritengo che non conosca bene il personaggio… Le consiglio il mio libro“Auschwitz non vi avrà”. Guido Hassan Nonostante abbia letto il suo libro, penso che non si debba dare il nome di Balbo ai nostri aerei. Perché la storia, caro Hassan, non si fa in questo modo, specie la storia dell’Italia fascista che è ancora terreno di scontro politico. Il controverso Italo Balbo che, rispetto a Mussolini, incarnò un fascismo a volte in opposizione, a volte più violento, va lasciato alla dialettica tra gli studiosi che ora puntano sui delitti (compreso l’omicidio di don Minzoni) e ora sulla modernità e il coraggio di aviatore, sulle tendenze antinaziste e sul ripudio del razzismo che pure aveva praticato. L’ambivalenza non si risolve alternando, nelle denominazioni, Cancel Culture e Approve Culture. Caro Merlo, chi è contrario a dare armi all’Ucraina cita la Costituzione, art.11: “l’Italia ripudia la guerra” troncando però la frase che prosegue “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Poiché offesa è il contrario di difesa, c’è, sì, il divieto di dare armi, ma alla Russia. Armando Bussi La Costituzione limita la guerra alla legittima difesa e i trattati internazionali ci impongono di aiutare l’Ucraina a favore della pace. Il resto è propaganda.