la Repubblica, 20 marzo 2022
Attaccare o no l’Ucraina occidentale?
Mariupol brucia e i carri armati avanzano nelle strade sparando cannonate contro qualsiasi movimento sospetto. I russi non vogliono rischiare altre perdite e usano la stessa tattica impiegata per espugnare Grozny, la capitale della Cecenia. Un rullo compressore brutale, che sfrutta la potenza di fuoco per stroncare la resistenza. Ancora più lentamente, questa brutale manovra avviene a Karkhiv, Chernihiv e Sumy, le altre grandi città intrappolate dall’inizio dell’invasione. In maniera sistematica, invece, i miliziani delle repubbliche secessioniste conquistano i villaggi della parte ucraina del Donbass. Ma sui due fronti principali – Kiev e Odessa – le colonne del Cremlino non fanno passi avanti. L’Ucraina adesso sembra divisa in due. A oriente del fiume Dnepr c’è uno sterminato campo di battaglia, dove gli aerei russi bombardano liberamente e l’artiglieria di Mosca è diventata protagonista: obici e razzi vengono scagliati sui palazzi senza sosta, notte e giorno. L’esercito ucraino continua a reagire, persino a pochi chilometri da Donetsk, ma i contrattacchi sono sempre più deboli mentre si moltiplicano le azioni di guerriglia nelle retrovie. Per questo gli invasori stanno rastrellando casa per casa i centri occupati tra il Donbass e il Mare di Azov: nei municipi issano la bandiera delle repubbliche secessioniste e tutto fa pensare che verrà presto proclamata l’annessione a questi staterelli riconosciuti solo dal Cremlino. Invece i russi non osano nemmeno sorvolare la regione occidentale del Paese, temendo la contraerea ucraina: i raid vengono condotti soltanto con missili a lungo raggio. Ieri è entrato in scena persino il “Khinzal”, un’ arma ipersonica magnificata da Putin come «invincibile»: è stato usato colpire un bunker costruito per custodire le testate nucleari sovietiche e ora usato per proteggere l’arsenale di Kiev. Mosca però sta finendo le scorte di missili cruise: hanno cominciato a lanciare verso Odessa pure i “Bastion” delle difese costiere attive in Crimea. Presto il quartier generale dovrà decidere se intaccare le batterie di ordigni destinati alla deterrenza atomica oppure rinunciare a colpire l’Ucraina occidentale. In pratica, questo è il dilemma che condiziona il futuro della guerra. Putin non ha riserve per proseguire l’attacco oltre il Dnepr. Quelle che stanno affluendo in Ucraina possono servire al massimo per completare la conquista dei territori assediati. Non è un problema di numeri, ma di qualità: in servizio c’è un milione di uomini, con circa 660 mila tra ufficiali e professionisti; quelli addestrati per reali operazioni di combattimento però sono al fronte o lo stanno raggiungendo. A questo punto Putin deve decidere. Può accontentarsi di riunire il Donbass alla Crimea, impossessandosi del Mare Di Azov, e fermare entro pochi giorni l’offensiva. Oppure può cercare di completare la manovra a est del Dnepr, distruggendo ed espugnando Karkhiv e le altre città come ha sta facendo a Mariupol: il tempo sarebbe sicuramente superiore a tre settimane e le perdite altissime. Infine lo scenario più terribile: il Cremlino può mobilitare tutte le risorse militari del Paese, per una guerra lunga e totale. Una prospettiva che moltiplicherebbe i rischi di escalation e il bilancio delle vittime. Incredibile? Nel sostenere la superiorità dei russi, Fedor Dostoevskij disse: «Noi possediamo il genio di tutti i popoli e abbiamo anche il nostro; quindi possiamo capire voi mentre voi non potete capire noi». Un mese fa nessuno ha compreso cosa aveva in testa Putin. E oggi il mondo si trova davanti a una spirale di violenza.