la Repubblica, 20 marzo 2022
La caduta di Mariupol
ZAPORIZHZHIA – Il momento in cui salvare la propria vita e difendere il luogo in cui si vive sono atti non più conseguenti a una libera scelta, a Mariupol è infine arrivato. Milizie della resistenza ucraina e persone allo stremo si mescolano e si nascondono, braccate nelle stesse cantine. I battaglioni russi avanzati dal Donbass e dalla Crimea, sostenuti dai professionisti ceceni dello sterminio arruolati da Ramzan Kadyrov, da venerdì avanzano in ogni quartiere senza cedere alla tentazione della pietà. La città più cruciale e storicamente simbolica della guerra di Putin, con il suo porto che controlla l’intero Mare d’Azov, è ormai sottratta al controllo del governo di Kiev. «Le difese che circondavano la periferia – dice il sindaco Vadym Boychenko – hanno ceduto su tutti i lati. Le nostre forze armate stanno facendo il possibile, ma purtroppo quelle del nemico sono superiori. Le battaglie scoppiate strada per strada impediscono alle persone di scappare. Dopo tre giorni, i soccorsi non possono raggiungere il Teatro d’arte drammatica bombardato. Centinaia di superstiti imprigionati nei rifugi antiaereo, che hanno retto, rischiano di morire di sete e di fame». Missili e colpi d’artiglieria russi si sono accaniti ieri contro le acciaierie Azovstal, a ovest del fiume Kal’mius che le separa dal centro storico. L’impianto siderurgico più grande d’Europa è in buona parte crollato, innesco di un collasso economico dall’impatto globale. Incerta l’attuale titolarità del controllo sulle sue «non riparabili macerie». Il portavoce del governo ucraino ritiene che l’area industriale sia interamente occupata dagli invasori. «Il nemico ha demolito le acciaierie – sostiene invece Vladislav Sobolievskyi, uno dei comandanti della resistenza opposta dal battaglione d’Azov – ma non ha ancora messo le mani sul nostro impianto». Mosca già esulta, certa che la capitolazione ufficiale della prima grande città ucraina sia questione di ore. «Il nostro cappio – anticipa la propaganda mobilitata per diffondere tra il popolo russo la narrazione dei trionfi putiniani – è già stretto». Per la prima volta però anche il governo di Kiev ammette una sconfitta: «Il nostro accesso al Mare d’Azov – dice il ministero degli Interni – è temporaneamente perso. L’esercito non è nelle condizioni di spezzare il blocco attorno a Mariupol, costretto a lottare su altri fronti fino a cento chilometri di distanza». La città è già l’agonizzante enclave di una residua resistenza ucraina all’interno di un territorio totalmente conquistato dai russi. In corso, la più crudele opera di “pulizia” contro chi rifiuta di arrendersi. Migliaia di persone – denuncia in serata il sindaco Boychenko – sono state portate in remote città della Russia, «deportate come fecero i nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Nell’ultima settimana, diverse migliaia di residenti di Mariupol sono stati portati via». Tra loro, «persone dal distretto di Livoberezhny e da un rifugio antiaereo nell’edificio di un club sportivo, dove più di mille persone, soprattutto donne e bambini, si nascondevano dai bombard amenti». Gli evacuati che provano a fuggire lungo strade minate e bombardate dai tank, raccontano che «centinaia di nostri soldati gettano via mimetiche e mostrine del battaglione d’Azov, sperando di sottrarsi a esecuzioni e deportazioni». Per questo i russi sono a caccia di ucraini casa per casa e cantina per cantina. I corpi non sepolti nelle fosse comuni erano centinaia: da ieri gli abitanti alzano il bilancio a «molte migliaia». Tra i miliziani russofili giunti per la resa dei conti dalle autoproclamate repubbliche autonome del Donbass, c’è anche il lecchese Vittorio Rangeloni. «I soldati ucraini – ha dichiarato alle agenzie – costringono i civili ad abbandonare i loro appartamenti per usarli come postazioni di fuoco. Si sentono ostaggi, ridotti a diventare obiettivi militari». Non accertabili per ora le percentuali delle colpe: Mariupol sta per diventare bottino di guerra del Cremlino, anche la verità rischia di restare sepolta sotto le macerie. I territori occupati, nel Sudest, non si allargano rapidamente, ma la loro crescita è inesorabile. Da ieri il coprifuoco totale è stato proclamato per la prima volta pure a Zhaporizhzhia, 230 chilometri da Mariupol. L’offensiva russa che punta alla costa del Mar Nero è a meno di un’ora dalla città-rifugio dei profughi evacuati. La più grande centrale atomica d’Europa è già nelle mani degli invasori. Prese Melitopol e Kherson, nel mirino ci sono tutti i porti fino al confine moldavo. Cinque le bombe che l’altra notte hanno centrato una caserma, 40 chilometri a sud di Mykolaiv. Secondo i sopravvissuti, le vittime estratte dal crollo sono un’ottantina. «La contabilità dell’orrore – dice la portavoce militare Olga Malarchuk – è destinata a salire». Mykolaiv è sotto attacco da due settimane e potrebbe rivelarsi un’altra Mariupol. Missili e tank russi hanno già demolito palazzi residenziali e aeroporto. La sua caduta spianerebbe alle truppe di terra la strada fino a Odessa, 130 chilometri a ovest. Il più importante terminal del Mar Nero, da cui passa l’80% dell’export ucraino, emerge ormai come il vero approdo militare preteso da Putin per mettere in ginocchio anche finanziariamente Kiev. Oltre tre settimane di resistenza a est, grazie al sacrificio di Mariupol e Mykolaiv, hanno permesso a Odessa di alzare difese imponenti. Un costiero corridoio russo aperto fino a Crimea e Donbass, assieme alla flotta russa che isola la città dal mare, in cui centinaia di mine vagano alla deriva, promette un assedio catastrofico per la terza città più popolosa della nazione. Già distrutti dai missili i centri di sorveglianza radio dell’intelligence, a Velykyi Dalnyk e a Velyko Dolynske. Il fronte della guerra ormai è due ore dal cuore dell’Europa.