Robinson, 19 marzo 2022
Intervista a Javier Bardem
Il cinema, una famiglia di perseguitati politici, una moglie amatissima e le preoccupazioni per il conflitto in corso “Putin non incarna il sentire del suo popolo ma l’avidità e l’orrore”
Il primo pensiero di Javier Bardem, 53 anni, cresciuto in una famiglia di artisti attiva nella storia culturale e politica della Spagna, è per la guerra in Ucraina: «Mi vergogno molto di appartenere alla specie umana, siamo capaci di creare il peggio intorno a noi.
Seguo le sorti di migliaia di persone che lasciano le case e fuggono tra mille pericoli. Spero che prevalgano il buon senso e l’umanità. Ma è un momento orribile, una situazione che richiede tempo e un’azione competente. Io non ho alcun titolo ma posso dire questo: non c’è alcuna giustificazione per Putin su ciò che sta facendo, né incarna il sentimento del popolo russo perché sappiamo che all’interno del Paese c’è molta opposizione a questa invasione. Non c’è ragione per questo orrore se non l’avidità».
Suo zio Juan Antonio, regista oppositore di Franco, è stato in carcere. Sua madre Pilar, attrice e attivista, ha attraversato momenti difficili. Quanto questo l’ha formata?
«Certe consapevolezze sociali e politiche arrivano presto, quando nasci e cresci in una famiglia in cui alcuni membri sono perseguitati politici perché si sono schierati dalla parte della democrazia, come è successo a mio zio. Da bambino mi sembrava che in casa si parlasse troppo di politica, crescendo ho capito che bisogna prendere posizione. E l’ho fatto guardando a mia madre, un’attrice, divorziata, madre single con tre figli negli anni 70 in Spagna. Aveva una sorta di marchio del disprezzo, era considerata una prostituta, lo dico con tutto il rispetto per le lavoratrici sessuali. Ho imparato, giorno dopo giorno, dalla sua forza, dignità, costanza. E lei mi insegna ancora oggi, a sei mesi dalla sua morte è più presente che mai. Di fronte a ciò che sta accadendo in Ucraina, penso a lei che si era battuta contro la guerra in Iraq. A cosa avrebbe provato oggi, cosa avrebbe detto e fatto. Con la grazia della sua empatia, del dolore, della giusta indignazione».
In Italia e nel mondo si è parlato molto della dedica che ha fatto a sua moglie Penélope Cruz quando è stato premiato ai Goya per “Il capo perfetto”: l’ha definita “la donna che amo, rispetto, ammiro e celebro tutti i giorni”.
«Ho solo detto ciò che sentivo.
Nella mia vita, in quella di ogni uomo, le donne sono l’inizio, il centro, la fine. Ritengo sinceramente che gli uomini siano il genere che più ha bisogno di aiuto. Sono stato cresciuto da mia madre e mio padre, sono un padre. Una figura paterna è importante per renderti sicuro, quando muore non c’è più nessuno a indicarti la via, devi gestire il tuo destino. Ma quando muore tua madre ti senti orfano, a qualunque età. Sei perso, non c’è nutrimento. Vuoi piangere e condividere lo smarrimento. Ciò che volevo esprimere quel giorno, sul palco, è quanto amo mia madre e mia moglie. La maggior parte di ciò che sono dipende da loro. Voi siete in Italia, io in Spagna, nei nostri Paesi c’è molto machismo, mi preoccupa perché le violenze di genere, gli abusi sulle donne sembravano appartenere al passato. Invece accadono in gran numero e sono commessi dalle nuove generazioni. Dobbiamo aiutare i ragazzi a capire che è sbagliato e deve finire per sempre». L’occasione dell’incontro con l’attore, da remoto, è la sua candidatura all’Oscar da protagonista per A proposito dei Ricardo di Aaron Sorkin (su Prime Video), in cui è Desi Arnaz, marito e partner di Lucille Ball, durante la settimana più difficile per lo show Io e Lucy, quando nel 1952 lei fu accusata di essere comunista e lui apparve sulla copertina di un settimanale insieme a un’altra donna.
È perfetto come Desi Arnaz, nel modo in cui parla, canta, balla.
«Sono stato fortunato, esistono 161 episodi dello show, li ho visti tutti. È stato utile leggere la sua autobiografia, ho parlato a lungo con la figlia che mi ha fatto ascoltare nastri registrati del padre. È stato tutto prezioso, ma poi quando è scattato il ciak l’ho rimosso e sono entrato nelle scarpe di quest’uomo con il suo spirito circense, la sua allegria, il pragmatismo, la forza».
È alla sua terza candidatura da protagonista, un Oscar vinto come non protagonista con i Coen per “Non è un paese per vecchi”. Che ricordi ha della cerimonia?
«La prima candidatura nel 2001 (per il ruolo dello scrittore dissidente cubano Reinaldo Arenas in Prima che sia notte di Julian Schnabel, ndr) fu una cosa enorme.
Schnabel aveva fatto vedere il film a Pacino che mi aveva chiamato alle tre di notte per i complimenti.
Ma è stato folle poter essere nominato per un Oscar. Ogni volta che accade lo trovo eccezionale. Ho avuto la fortuna di lavorare con alcuni registi straordinari a cui mi sono sempre affidato. Oggi c’è meno sopresa della prima volta, ma la gratitudine è maggiore».
Questa volta è candidata anche Penélope Cruz con “Madri parallele” di Almodóvar.
«Esatto. E questo rende la cosa unica nella nostra storia professionale e nella nostra vita».