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 2022  marzo 19 Sabato calendario

Le 12 vite di Hitchcock


Un capitolo la buonanima di Alfred Hitchcock non perdonerà al volonteroso biografo Edward White, che scompone l’esistenza del genio in dodici vite. La numero 5 è sfacciatamente intitolata “il grassone”. Altre sono più lusinghiere (“l’autore”) o almeno neutre (“il londinese”). Il regista aveva ben chiara l’ampiezza del suo girovita, e ne voleva alla madre per aver ereditato il fisico “a patata”. Ma guai se qualcun altro osava fare allusione.
Grazie a un dimagrimento reso pubblico, riuscì a fare la sua apparizione nel film Prigionieri dell’oceano,
girato nel 1944 su una scialuppa di salvataggio. Quel che resta di una nave passeggeri affondata da un sottomarino tedesco: anche il capitano nemico è salito a bordo, l’unico che sappia governare una barca. Vediamo Alfred Hitchock “prima e dopo” la cura, sulla pagina di un giornale che pubblicizza il prodotto dimagrante Reduco. Ci scherzava sopra, sfruttava le rotondità per la celebre caricatura o per le buffonerie che aprivano il suo programma tv. Ma uscì ferito e rabbuiato da un incontro con una delle sue attrici bionde: «Ha detto che sono grasso».
Nelle intenzioni di Edward White, Le dodici vite di Alfred Hitchcock
sono «per le biblioteche pubbliche e i cinema indipendenti». Un modo per non interferire con le biografie e gli studi già in libreria. Numerosi, in vari gradi di vicinanza all’uomo o di fanatismo per il suo lavoro, a cui si aggiungono le “interviste d’autore”: Truffaut, Chabrol, Rohmer, Bogdanovich. Qui abbiamo uno smontaggio e rimontaggio della vita e dell’opera, frutto di un lavoro certosino: note e bibliografia (con l’indice analitico che da tempo sembrava riservato solo ai testi specialistici) occupano le ultime 90 pagine di un libro che ne conta 430.
Tutto è documentato e raccontato appassionatamente, con qualche occasionale scivolata nelle interpretazioni psicoanalitiche tra vita e cinema. Vizio frequente negli scritti sul regista, in contrasto con la sua ferma convinzione: «Il cinema non è una fetta di vita ma una fetta di torta». Di più: Hitchcock era convinto che i film sarebbero diventati superflui, se qualcuno avesse inventato un marchingegno capace di trasmettere la paura direttamente nel cervello degli spettatori. Non teneva in grande considerazione gli attori. Credeva invece fermamente nel montaggio, e in uno storyboard che non consentisse a nessuno di impicciarsi: girava il necessario, senza scarti o ripensamenti. A Peter Bogdanovich che lo interrogava «so che non guarda mai i suoi film in sala, non le mancano le urla del pubblico?» rispose: «No, le sento quando giro il film».
Oltre al grassone, la dozzina hitchcockiana è composta da l’eterno bambino, l’assassino, l’autore, il donnaiolo, il dandy, il padre di famiglia, il voyeur, l’intrattenitore, il pioniere, il londinese, l’uomo di Dio. Distribuite nei capitoli, le ricadute pop di un regista che cominciò giovanissimo a disegnare pubblicità in Inghilterra e diventò una figura popolarissima negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Anche grazie alla televisione, che a differenza dei suoi colleghi trovò subito interessante: libertà assoluta e finalmente un compenso adeguato, 129 mila dollari a settimana, per qualche regia e i siparietti al ritmo della Marcia funebre per una marionetta di Charles Gounod.
C’è l’album di Eminem Music to be Murdered by,
uscito nel 2020. Il raccapricciante mosaico colorato a tema Psycho nella metropolitana di Leytonstone, luogo di nascita del regista ( tra le molte illustrazioni del libro, questa manca ma supplisce internet). L’installazione PsychoBarn di Cornelia Parker, nel 2016 al Metropolitan Museum di New York: la casa del film, a sua volta ispirata dal quadro di Hopper House by the Railroad,
ricostruita con materiale di recupero. Per l’arte che già stava nei musei, la mostra Hitchcock and Art: Fatal Coincidences
( vent’anni fa a Montreal) aveva soddisfatto ogni curiosità.
I 53 film diretti da Hitchcock – l’apprendistato inglese tende a scomparire di fronte a La finestra sul cortile, e L’uomo che sapeva troppo
del 1934 ebbe un autoremake nel 1956 – sono distribuiti con astuzia nei vari capitoli. Altrettanti mascheramenti: sia l’uomo sia il regista preferivano la superficie alla profondità, le analisi troppo minuziose rovinano il divertimento. Ogni biografo, e ogni appassionato, ricorda aneddoti o battute del regista. Ne aveva un repertorio, in materia di cinema e in materia di sesso: era rimasto londinese e figlio di bottegaio; gli americani gradivano poco, e così le attrici, tranne Grace Kelly e Ingrid Bergman. Edward White ne ricorda qualcuno meno conosciuto. Per esempio, il breve incontro con Vladimir Nabokov, nel 1964. Il regista era scontento dei suoi sceneggiatori, bravi negli adattamenti ma incapaci trasformare un’idea in una storia. Più spesso, per Hitch, era un brandello di idea: per esempio l’automobile costruita pezzo a pezzo sulla catena di montaggio, poi si apre la portiera e cade un cadavere. «Ecco perché li scavalco per rivolgermi a lei, un narratore», scrive Hitchcock a Nabokov. Non se ne fece niente, per impegni sopraggiunti da parte di entrambi. Sarebbe stato un gran match.