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 2022  marzo 19 Sabato calendario

La vita vista dal supermercato


Annie Ernaux ha passato settimane a osservare la gente fare la spesa all’ipermercato E ne ha tratto l’identikit di un’era
«Scegliamo i nostri oggetti e i nostri luoghi della memoria, o piuttosto è lo spirito dei tempi a decidere ciò che val la pena di essere ricordato. I libri, l’arte, i film contribuiscono a elaborare questa particolare forma di memoria. Gli ipermercati, dove la maggior parte dei francesi si reca circa una volta la settimana da più di quattro decenni, stanno cominciando soltanto ora a figurare tra i luoghi degni di avere una loro rappresentazione». Criticando la distanza che esiste tra molte scrittrici e molti scrittori della propria generazione e il mondo reale, Annie Ernaux, in Guarda le luci, amore mio, decide di raccontare la quotidianità di chi, per fare la spesa, si reca ogni settimana in un ipermercato. Convinta che anche i supermercati siano oggetti letterari capaci di suscitare emozioni, sentimenti e riflessioni, la scrittrice francese spiega come questi luoghi inusuali permettano di raccontare meglio di altri la complessità della vita e rappresentino quindi, ai suoi occhi, una sorta di metafora degli “incontri collettivi”.
A differenza degli altri suoi romanzi, Guarda le luci, amore mio – pubblicato in Francia nel 2014 e adesso tradotto anche in italiano da L’Orma – non racconta né un pezzo della propria esistenza né la storia dei propri genitori. A metà strada tra il saggio e il romanzo, è una sorta di diario delle visite all’ipermercato Auchan di Cergy che Ernaux ha tenuto tra il novembre del 2012 e l’ottobre del 2013: «Una libera rassegna di osservazioni, di sensazioni, per tentare di cogliere qualcosa della vita che vi svolge».
Sollecitata dal filosofo Pierre Rosanvallon e dalla storica Pauline Peretz – che nel 2012 avevano creato, per la casa editrice Seuil, una collana intitolata “raccontare la vita” –, Ernaux decide di concentrarsi su quello spaccato di realtà che si indovina tra gli scaffali, i carrelli pieni del sabato pomeriggio di chi non ha avuto tempo di fare la spesa durante la settimana, gli sguardi concentrati sui prezzi di chi ha i soldi contati, i prodotti discount che occupano un intero reparto e quelli più costosi che occupano invece solamente un angolino del negozio.
Ernaux non vuole né fare un’inchiesta sociologica, né realizzare uno studio antropologico sugli usi e i costumi dei francesi: «Delle persone vedo solo i corpi, le apparenze, i gesti. La merce che mettono nel cestino, nel carrello. Ne deduco approssimativamente il tenore di vita. L’essenziale resta per me invisibile, nascosto dai carrelli traboccanti del fine settimana, dall’incessante bilancio tra i prezzi dei prodotti e il bisogno di nutrirsi al quale sono costrette la maggior parte delle persone. Meno soldi si hanno, più la spesa richiede un calcolo minuzioso, senza errori».
Ciò che le interessa è raccontare estratti della quotidianità: tutte quelle cose che sembrano insignificanti e che, invece, sono dense di significato. L’ipermercato, d’altronde, rappresenta ai suoi occhi un vero e proprio spazio sociale all’interno del quale la descrizione dei luoghi è strumentale al racconto della vita delle persone che li attraversano e li abitano: una vita spesso resa docile da una serie di norme da rispettare (“vietato sfogliare le riviste”, “vietato consumare cibo”) e di regola da seguire (come si utilizzano le casse automatiche, come ci si muove all’interno dei reparti), ma che conserva pur sempre numerose specificità. Ecco allora che, attraverso i piccoli gesti, Ernaux riesce a restituisce un’immagine fortissima delle disparità, delle ingiustizie e dei privilegi sociali. La possibilità di poter riempire un carrello senza guardare il prezzo dei prodotti, infatti, non permette solo di nutrirsi o vestirsi meglio, ma anche di risparmiare tempo (e di poterlo quindi dedicare ad altro) e di evitare quella che Ernaux definisce «l’umiliazione inflitta dalle merci».
In un mondo in cui il valore di una persona sembra ancora dipendere da ciò che possiede, acquista, si può (o meno) permettere di comparare, tutti coloro che non possono offrirsi determinati prodotti non possono non sentirsi umiliati, non possono non convincersi di non valere nulla. Alcuni reparti sono spesso deserti, altri, come quello dedicato al “benessere”, sono invece molto frequentati. Alcuni interessano di più gli uomini, come quello dei vini; in altri, invece, gli uomini sono rari, leggono liste stilate dalle mogli, annaspano alla ricerca di prodotti di cui non sembrano conoscere l’utilità.
Anche i supermercati riproducono gli stereotipi di genere e contribuiscono a rafforzarli, esattamente come rafforzano le distinzioni di classi, inducendo le persone a basso reddito a rassegnarsi alla propria condizione: «Spesso, all’uscita, sono stata sopraffatta da un senso di impotenza o di ingiustizia. Per questa stessa ragione non ho mai smesso di sentire l’attrattiva dell’ipermercato e della vita che si svolge al suo interno». Ma chi fa politica, chi scrive sui giornali e, più generalmente, gli esperti hanno raramente messo piede in un supermercato, chiosa Ernaux. Ed è per questo che poi, come ormai sa bene chiunque, ignora la realtà sociale del Paese in cui vive.