Corriere della Sera, 19 marzo 2022
Il Forrest Gump di noantri
Il sorriso mite che gli rischiara la barba lo rende diverso da Sigerico il Serio, del quale è l’erede legittimo. Luca Bruschi, direttore dell’Associazione europea delle Vie Francigene, dice di ritenersi «più simile a Forrest Gump» e di sentirsi un predestinato. Non a caso vive a Fidenza, esattamente a metà del percorso mappato di 3.200 chilometri che congiunge Canterbury a Santa Maria di Leuca, anche se l’arcivescovo della città inglese nel 990 dopo Cristo giunse a piedi solo fino a Roma, dove ricevette il pallio dalle mani di papa Giovanni XV. Il ritorno durò 79 giorni, con altrettante submansiones, soste, descritte in un diario conservato nella British Library di Londra.
Fra tappe lunghe e brevi, Bruschi ha già trascorso almeno un anno della sua vita sui sentieri degli antichi viandanti: due volte il Cammino di Santiago de Compostela, decine di volte la Via Francigena. L’estate scorsa ha affrontato più di 1.000 chilometri in compagnia di Myra Stals, olandese di Hulst abitante a Salsomaggiore, social media manager dell’associazione, che invece s’è sciroppata l’intero tragitto dalla Manica a Punta Ristola, estremo lembo del Salento e d’Italia, dov’è arrivata in 127 giorni dopo aver consumato tre paia di scarpe. «Il Covid-19 ci ha impedito di partire dal Regno Unito. Gli amici di Canterbury hanno affidato al comandante del traghetto Dover-Calais il bastone in legno di nocciolo forgiato dall’irlandese Michael Walsh e rifinito con dieci strati d’olio di lino bollito, dicendoci: “Camminerà con voi”. Sull’impugnatura, il simbolo del pellegrino inciso da Julie Helen Sharp, un’artista londinese. Lo riporteremo lassù il 27 aprile. La cattedrale in cui fu assassinato Tommaso Becket rappresenta il nostro chilometro zero».
Quanti coprono i 3.200 chilometri?
«Italiani? Tanti. Ricordo Massimo Pedersoli di Genova e Alessio Tomasella di Sacile. Il secondo ha 37 anni, è affetto da fibrosi cistica, sarà sì e no 60 chili e s’era caricato sulle spalle uno zaino che ne pesava 22. Mai vista una tempra simile».
Siete mossi dalla religione?
«No. Dei 25 che formano lo staff, l’unico praticante è il francese Jacques Chevin. Penso che Myra Stals sia agnostica. Io sono credente, ma non vado a messa con regolarità da quando avevo 18 anni».
La Francigena non è esercizio di fede?
«Anche di cultura, di storia, di memoria. Senza ignorare l’aspetto spirituale. Il simbolo stilizzato del pellegrino è tratto da un fregio della cattedrale di Fidenza».
Perché Vie Francigene, al plurale?
«Nasce nell’876 come via dei Franchi. Re, principi, monaci e penitenti facevano testamento, prima d’incamminarsi. Nel Medioevo spuntano le strade comunali e le vie romee, cioè dirette verso Roma. Con destinazione la tomba di Pietro».
Credo che la Francigena finisse dove c’era la sede dell’«Osservatore Romano», la prima strada a destra entrando in Vaticano. Si chiama via del Pellegrino.
«Oggi in piazza Pio XII, in fondo a via della Conciliazione. Lì si riceve il testimonium, presentando le credenziali timbrate durante le varie tappe».
Che molti raggiungeranno in auto...
«I furbetti non mancano. La Via Francigena è lo specchio del genere umano. La regola è che bisogna aver fatto almeno 100 chilometri a piedi o 200 in bici».
Quanti sono i pellegrini?
«Nel 2019, prima della pandemia, ne abbiamo stimato 50.000 provenienti da 69 nazioni, incluse Cina, Giappone, Nuova Zelanda e Australia. La metà italiani».
Da quanto tempo lavora qui?
«L’associazione esiste dal 2001. Ci arrivai come stagista nel 2004. Prima sapevo ben poco della Via Francigena. Sette anni fa mi hanno nominato direttore».
E la stipendiano?
«Sì, 1.400 euro netti al mese per 25 ore, che in realtà sono molte di più. Ho anche un part-time in municipio a Fidenza».
Chi vi finanzia?
«I 207 soci: Comuni, Province e Regioni di Regno Unito, Francia, Svizzera e Italia. Stiamo lavorando per replicare il successo riscosso in Spagna dall’Anno giacobeo, che si celebra quando il 25 luglio, festa di san Giacomo, cade la domenica. Di solito quel giorno confluivano a Santiago de Compostela 8.000 pellegrini. Nel 1999 furono 150.000, nel 2019 salirono a 350.000. Vogliamo portarne 100.000 a Roma per il Giubileo del 2025».
L’itinerario della Via Francigena?
«Canterbury, Calais, Arras, Reims, Besançon, Losanna, Colle del Gran San Bernardo, Aosta, Ivrea, Vercelli, Pavia, Calendasco, Piacenza, Fidenza, Berceto, Passo della Cisa, Pontremoli, Sarzana, Lucca, Siena, Monteriggioni, San Gimignano, Radicofani, Viterbo, Roma».
Sono ammesse varianti?
«Piccole. Ma sconsigliate. Vedo gente che, per accorciare, va da Piacenza a Fidenza sulla via Emilia. Sono 40 chilometri di asfalto, con i Tir che ti sfiorano».
Il passaggio più duro qual è?
«La discesa dal Gran San Bernardo. Ad agosto ho trovato 2 gradi e la neve. In 25 chilometri affronti un dislivello di 2.000 metri che ti stronca le ginocchia. E vai in apnea nella salita al Passo della Cisa, quel monte Bardone da cui l’imperatore Federico II, Stupor mundi, nel 1249 trascinò in catene il suo consigliere Pier delle Vigne per poi farlo accecare in piazza a Pontremoli, consegnandolo così all’ammirazione di Dante, che ne esalta la figura nel Canto XIII dell’Inferno».
La trovo preparato.
«È merito di Giovanni Corrieri, 74 anni, di San Miniato, che accompagna i pellegrini lungo la Via Francigena, recitando a memoria la Divina Commedia».
Ma che c’entra in tutto ciò Leuca?
«La Regione Puglia ci ha chiesto di essere coinvolta. Lo abbiamo fatto con rigore storico, ispirandoci all’Itinerarium Burdigalense del 333, primo documento di un pellegrinaggio cristiano in Terrasanta. Lo compilò un abitante di Burdigala, l’0dierna Bordeaux. Al ritorno, sbarcò a Brindisi e passò per Roma. Abbiamo allungato il tragitto fino a Santa Maria di Leuca perché è la nostra finis terrae. L’Italia termina lì».
Bisogna essere benestanti, per potersi concedere questa scarpinata.
«È vero, tocca un tasto giusto. Servono cinque mesi, per arrivare da Canterbury alla Puglia, e un budget dai 40 ai 60 euro al giorno. Più di 6-8 ore quotidiane di cammino sono insostenibili».
Dove dormite? Dove pranzate?
«Ci sono ostelli laici e religiosi. I giovani si arrangiano con tenda e sacco a pelo, ma sono due chili in più nello zaino. È anche un viaggio nella gastronomia europea. Sulla Via Francigena nacque il Parmigiano Reggiano. Affinché non si guastasse nel trasporto verso i monasteri del Nord Europa, i benedettini ingrandirono la forma, creando così l’antenato del formaggio più famoso al mondo».
Lei che cosa porta con sé?
«Tre magliette e biancheria, da lavare e stendere ogni sera. Penna e blocnotes: il cammino stimola la scrittura. Massimo 7 chili di peso. Dopo una settimana, capita di recarsi in un ufficio postale per rispedire a casa le cose di troppo».
Ha dimenticato il cellulare.
«Eh, quello serve per le foto. E per orientarsi: a volte mi sono perso. Però non sarebbe male partire senza averlo».
È peggio camminare sotto il sole cocente o sotto la pioggia battente?
«Due settimane di acqua, con scarpe e vestiti bagnati che non puoi far asciugare, sono un dramma. Ma i 44 gradi dell’afa estiva emiliana te li raccomando».
Alla fine avrà le piaghe ai piedi.
«Primo consiglio: solo sneaker usate».
Parlo da sedentario: chi ve lo fa fare?
«Il cammino è una filosofia di vita. A volte mi chiedo se sono stato io a scegliere la Via Francigena o se essa abbia adottato me. Corrispondenza d’amorosi sensi, l’avrebbe chiamata Ugo Foscolo. Questi sentieri hanno un’anima. Milioni di pellegrini li hanno percorsi prima di te. Non conosco modo migliore per riappropriarmi del bene più prezioso».
E quale sarebbe?
«Il tempo. Ti riconcili con il mondo attraverso i ritmi lenti. Cammini a testa alta. Guardi l’orizzonte, anziché il telefonino. Riscopri l’alba, il tramonto, la ricerca interiore. Ho avuto per compagni d’avventura direttori della Deutsche Bank e scienziati, ma anche un ragazzo che si definiva “super ateo” ed era felicissimo perché i monaci francesi ci offrivano la cena. Partecipava alla messa del pellegrino e alla recita del vespro».
Sembra di leggere Enrico Brizzi.
«Siamo amici. I suoi libri sono stati fondamentali per far conoscere la Via Francigena. Lo stesso dicasi dell’attore David Riondino e di Sergio Valzania, ex direttore di Radio 3, epico narratore con cui l’estate scorsa ho condiviso il tratto valdostano. E di Eric Sylvers, giornalista del Wall Street Journal che ha lavorato per il Financial Times e il New York Times. Lui s’è fatto Canterbury-Roma in 32 giorni. Ogni mattina una maratona. Non di 40 e passa chilometri: di 70».
Quali sono i tratti più suggestivi?
«Non mi accusi di campanilismo: Fidenza-Lucca, in Lunigiana. Anche Calais-Wissant, lungo la spiaggia, avendo di fronte le bianche scogliere di Dover».
Com’è l’Europa visitata a piedi?
«Straordinaria. Da Canterbury a Leuca si attraversano 658 Comuni. In Francia ce ne sono 32.000, il quadruplo dell’Italia. Entri in alcuni di appena 8o abitanti. I contadini ti salutano e ti ringraziano. Ti fanno scoppiare il cuore di orgoglio».
Avrà pur visto qualcosa di triste.
«Sì, la necropoli nazionale francese di Ablain-Saint-Nazaire. Nell’Anello della Memoria sono incisi in ordine alfabetico, senza distinzione di nazionalità, i nomi di 600.000 soldati caduti durante la Prima guerra mondiale. Accanto, 45.000 tombe. Non avrei mai creduto di dover tornare sulla Via Francigena per pregare che torni la pace in Europa».