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 2022  marzo 19 Sabato calendario

I nuovi obiettivi di Draghi


Con la guerra di Putin che continua e nell’attesa di qualche notizia non effimera dal versante diplomatico, gli obiettivi a medio termine del governo Draghi sono un piano per l’energia e un ammodernamento della difesa del Paese nella cornice delle alleanze. Sono traguardi possibili, ma presuppongono una maggiore coesione dell’Unione, anzi un vero e proprio salto verso l’Europa integrata. Come è ovvio, l’aumento al 2 per cento delle spese militari ha senso solo se si comincia a intravedere il progetto di una vera difesa comune. Che non può essere, se non in chiave simbolica, l’attuale reparto franco-tedesco composto da cinquemila uomini. Lo stesso vale per l’energia: l’Europa ha senso se riesce a mostrarsi solidale in un momento drammatico che potrebbe ancora volgere al peggio. Ma un piano per l’energia presuppone, anche qui, un livello superiore nel coordinamento tra i governi e in fondo tra i popoli.
Draghi ha appena incontrato i colleghi di Spagna, Portogallo e Grecia allo scopo di rafforzare l’unità d’azione dei Paesi mediterranei. Qualcuno ha voluto leggervi una rinuncia dell’Italia a svolgere un ruolo da protagonista nel gruppo di testa della Ue, composto come è noto da Germania e Francia. Ma è una critica ingiusta. Il punto è che gli obiettivi di cui si è detto richiedono una riscrittura, totale o parziale, del Pnrr. Mesi fa nessuno era in grado di prevedere la guerra, è ovvio, ma ciò non significa che l’aggiornamento del piano economico avverrà senza ostacoli. I Paesi del Nord sono ancora lì con le loro riserve e la stessa Germania costituisce in parte un’incognita dopo l’uscita di Angela Merkel. Non è strano che Draghi si stia preparando a un confronto che potrebbe essere spinoso e voglia rafforzare in primo luogo il fianco meridionale dell’Unione: è una linea tipica di Roma, tanto più che il presidente del Consiglio ha un eccellente rapporto politico con Macron e sta costruendo una relazione che si spera positiva con il nuovo cancelliere tedesco.
Certo, ci vuole tempo prima che all’Italia sia riconosciuta la credibilità compromessa negli ultimi anni dalle scelte sbagliate o approssimative dei governi che si sono succeduti. In ogni caso è questo il sentiero obbligato del premier dopo aver compreso che il conflitto in Ucraina ha già cambiato il volto dell’Europa, con conseguenze destinate a proiettarsi nel tempo anche se le armi dovessero tacere nell’arco di qualche settimana. Ne deriva che il dibattito interno dovrebbe svilupparsi all’interno di queste stesse coordinate. È ciò che sta accadendo? Solo in parte. Le punture di spillo, specie da destra, sul Green Pass e le strategie anti-Covid sembrano a questo punto una polemica di retroguardia: è evidente che la fase dell’emergenza si sta chiudendo – nonostante colpi di scena ancora possibili –, ma non ci sono molte alternative alla gradualità messa in atto dall’esecutivo.
Quello su cui le forze politiche dovrebbero concentrarsi, ma faticano a farlo, è proprio la nuova dimensione europea imposta dalla crisi internazionale. Pesa in qualche caso la vecchia diffidenza verso l’Unione, figlia di un certo “sovranismo” che confina con il provincialismo. E sono zavorra le antiche ambiguità, soprattutto di Lega e 5S, ma senza dimenticare Berlusconi, nel rapporto con la Russia di Putin. In definitiva, il Pd di Letta e FdI di Giorgia Meloni sembrano aver avuto i riflessi più rapidi e interpretano la nuova fase con idee più chiare degli altri.