la Repubblica, 19 marzo 2022
La school fashion week
ROMA – Lunedì monocromo, martedì in lungo, mercoledì seventies, giovedì serie tv, venerdì pigiama. Il menu della Settimana della moda delle scuole è servito, coniugabile e ricombinabile secondo fantasia. Dimenticate l’haute couture, qui è tutto prêt-à-porter, direttamente dall’armadio di casa. Lo shooting è tra i banchi, il defilé nei corridoi, il fitting in bagno.
La School fashion week, così la chiamano, è l’ultima tendenza alle superiori. C’è un calendario prestabilito, un dress code da non sgarrare, prove, sfilate e una classifica finale della classe più cool. La moda arriva dall’estero, importata dai social, ispirata a centinaia di videoclip con coreografie tutte uguali sulle note di Ritmo di Raffa Fl, successo internazionale partito da Verona. Su Tik-Tok i video con l’hashtag #schoolfashionweek e derivati, ambientati nelle classi, contano 2 milioni di visualizzazioni, pure se il cellulare in aula non si potrebbe usare.
Le parole d’ordine sono allegria, leggerezza, dopo due anni di Covid e tre settimane di venti di guerra: il contraltare alle richieste d’aiuto psicologico che arriva dalle scuole di tutta Italia. «Ma non è solo frivolezza», dicono i ragazzi. «Siamo stati chiusi in casa, nella monotonia, e poi in Dad, soli, divisi, lontani. Volevamo inventare qualcosa che andasse oltre le lezioni frontali, per riavvicinarci al divertimento anche a scuola», racconta Noemi del liceo Medi di Barcellona Pozzo di Gotto, Messina. E poi di mezzo c’è il bisogno di affermarsi e la libertà di espressione che per i ragazzi passa anche attraverso il dress code: «L’abbigliamento non può influire sulla considerazione di una persona, uno stile non può etichettarci e non sono i vestiti che misurano la nostra maturità», dicono i liceali.
E così lunedì è spuntato un arcobaleno di maglioni dal bianco al nero passando per l’ocra, il magenta e il fucsia. Martedì ecco i tubini con decolleté ai piedi, giacche e cravatte («più che manager, ci sentivamo agenti immobiliari», scherzano su). Il mercoledì, dalle cassettiere di mamma e papà, sono rispuntate fuori le zampe d’elefante, le giacche fiorate e i mega ciondoli. Venerdì le tute rosse della Casa di carta, gli outfit delle ragazze di Euphoria, il look vintage di Stranger Things. Sabato, come nulla fosse, tra un logaritmo e una versione, i pigiami a pagliaccetto da unicorno rosa con maxi pantafole peluche: «È la giornata che ha avuto più successo perché il pigiama, che è stato il nostro bozzolo di noia nelle lezioni a distanza al pc, è diventato qualcosa di familiare da ridere insieme».
Sul carnevale senza stagioni lungo una settimana, da Roma a Milano, da Cuneo a Siracusa, da Torino a Civita Castellana, si sono divisi i dirigenti: chi ha accolto con entusiasmo e chi ha digerito a fatica, quando non bloccato. «La fashion week è l’ulteriore dimostrazione che per affrontare questi mesi difficili di socialità a rischio, di scuola che oscilla tra ricerca di normalità e le sigle che abbiamo imparato a conoscere (Dad, Ddi), una delle chiavi di volta sia dare sfogo alla creatività degli studenti», dicono dal Marconi di Milano, dove pure i prof si sono vestiti a tema.
«Gli studenti possono venire vestiti a scuola come vogliono, nel rispetto della dignità personale e dell’ambiente scolastico, e della sensibilità propria e degli altri: non c’è niente di male. Ma cambiarsi d’abito durante le lezioni non può essere consentito e i docenti sono invitati a non permettere travestimenti», scrive il dirigente del Benedetto da Norcia di Roma. Non una bocciatura totale perché agli studenti dice: «Se volete rivendicare una libertà di espressione, indossare abiti inconsueti, fatelo uscendo di casa. Venite a scuola in pigiama, ma non pretendete di cambiarvi qui come se vi vergognaste. Le lezioni non possono trasformarsi in un carnevale o in passerelle». Eppure per alcuni, la Settimana della moda ha assunto pure un significato “politico”. Soprattutto a Roma, dopo il caso della studentessa del liceo Righi bacchettata, in senso sessita, da una professoressa per via della pancia scoperta da una maglietta tirata su (anche lì, di mezzo, c’era un video per TikTok). Al liceo Darwin, racconta Mattia, uno dei leader del collettivo, «l’idea è nata dalle ragazze del nostro gruppo che hanno mischiato la voglia di spensieratezza con l’affermazione della libertà d’espressione e la necessità di vivere la scuola in modo diverso: per una settimana è stata nostra. Un modo per fare comunità, dopo mesi di conflittualità per i problemi scolastici e delle nostre vite».
C’erano una volta le occupazioni, i flash mob, le proteste. E ci sono ancora, accese, dure, radicali, ora solidali con l’Ucraina. Adesso c’è pure la fashion week.