la Repubblica, 19 marzo 2022
Il raduno di Putin
MOSCA – Quando Vladimir Putin compare sul palco allestito al centro del gremitissimo stadio olimpico Luzhniki di Mosca, si levano i cori: “Rossija, Rossija”. “Russia, Russia”. Il presidente inizia il suo intervento citando le prime righe della Costituzione russa: «Noi, il popolo multinazionale della Federazione russa, uniti da un destino comune sulla nostra terra». Il 18 marzo, ottavo anniversario dell’annessione russa della Crimea, cade a tre settimane dal lancio di quella che il leader del Cremlino si ostina a chiamare «operazione militare speciale» anche se sta costando morti, macerie e distruzione in Ucraina. Kiev piange, lo stadio Luzhniki di Mosca festeggia la “Primavera della Crimea” – l’hanno battezzata così – con canzoni e comizi. Alle spalle del presidente russo campeggiano tre slogan: “Za mir bez nazisma”, “Za Rossiju”, “Za presidenta”, Per un mondo senza nazismo, Per la Russia, Per il presidente. Con la “Z” che non esiste nell’alfabeto cirillico diventata oramai un simbolo patriottico perché incisa sui carri armati dispiegati in Ucraina. È la “Z” che indossano i due presentatori Dmitrij Guberniev e Maria Sittel, gli oratori, i cantanti e persino le forze di polizia. E ha i colori rosso e arancione del “nastro di San Giorgio”, il vessillo della lealtà alla Russia che ricorda la più alta onorificenza militare della Russia zarista. Tutto è orchestrato per cementare il patriottismo e giustificare ancora una volta l’offensiva in Ucraina con la necessità di “denazificare” e “liberare” la popolazione russofona dal “genocidio” perpetrato in Ucraina.
I caroselli di autobus colmi di impiegati statali, insegnanti e studenti sono iniziati sin dal primo mattino. Sotto la statua di Lenin che resiste davanti allo stadio è un tripudio di bandiere tricolore bianco-blu-rosso e rosso-arancione del movimento patriottico Nod. «La disgregazione dell’Urss è stata illegale. Dobbiamo recuperare la patria così com’era una volta», dice Mikhail Vladikha, operaio edile cinquantenne, arrivato dopo otto ore di macchina da Voronezh, nel Sud della Russia. Il quarantaduenne Vladimir Kolesnikov indossa una t-shirt con impresso il volto di Putin e il logo “Armja Putina”, l’esercito di Putin, un’organizzazione che sostiene il presidente e lo Stato. «Dobbiamo difendere la memoria dei nostri antenati, dobbiamo combattere il nazismo, è in gioco il nostro orgoglio nazionale. L’Ucraina è sempre stata un Paese ostile nei nostri confronti», sostiene quest’ingegnere minerario ed ex militare che dice di aver combattuto quattro anni a Lugansk nelle fila dell’Unione dei volontari del Donbass.
Quattro anni fa un’umanità variopinta e chiassosa arrivata da tutto il mondo si riuniva qui, allo stadio olimpico, per l’inaugurazione dei Mondiali di calcio e conosceva una Russia lontana dagli stereotipi, ospitale e sorridente. Oggi di quell’atmosfera carnevalesca non è rimasto niente. Le sanzioni hanno serrato le vetrine dei grandi brand internazionali, svuotato gli scaffali dei prodotti d’importazione e persino le strade. Un prezzo che per il sedicente filosofo ultrasessantenne Aleksandr Petrov val pur la pena di pagare. «Non c’era altra scelta, altrimenti nel cuore dell’Europa avremmo avuto un covo di luridi nazisti come i tedeschi di una volta», dice sventolando la bandiera che si issa solitamente il 9 maggio alla parata della vittoria sul nazismo. «Putin ha fatto bene», conferma un gruppo di maestre d’asilo arrivate da Dedovsk.
Intanto sul palco si alternano il sindaco di Mosca Serghej Sobjanin, medagliati, politici e famosi cantanti. Come il rapper Timati, la band preferita del presidente, Ljube, e Oleg Gazmanov che intona il suo successo “Ja v Sssr”, “Nato nell’Urss”, che nel 2014 diventò l’inno dell’annessione e che proclama «Ucraina e Crimea, Bielorussia e Moldova, questo è il mio Paese».
Vengono declamati i versi del poeta panslavista Fiodor Tjutcev. Ogni oratore rinnova la sua fedeltà al presidente e il suo sostegno all’operazione. Compaiono in videocollegamento i leader di Crimea e Sebastopoli Serghej Aksienov e Mikhail Razvozhaev.
Si alternano le “tre grazie”: la direttrice di Rt ( ex Russia Today) Margarita Simonjan, la conduttrice tv Tina Kandelaki e Maria Zakharova. «Siamo un Paese e un popolo che apprezza e difende la pace, combatte il male», dice la pugnace portavoce della diplomazia russa avvolta in un cappotto rosso, ma il microfono si spegne improvvisamente. Interviene pure Artjom Zhoga, padre del primo separatista filorusso ad aver ricevuto il titolo di “eroe della Russia” Vladimir Zhoga detto “Vokha”, nonché comandante di un battaglione nel Donbass: «Voglio dirvi di sostenere il presidente. Una nazione che crede nel suo presidente non può essere sconfitta».
Fuori dallo stadio il coro cosacco moscovita “Sokol” (Falco) intona un canto patriottico. «Il nostro esercito combatte una causa giusta contro i nazisti che ammazzano bimbi e donne incinte. La verità è con noi, non con l’America. Vi dicono menzogne. La nostra tv manda in onda reportage veri. Il pagliaccio Zelensky deve arrendersi», martella la corista Elena Zavjalova, 62 anni. Ma lo spiazzo intorno si sta svuotando. Molti di quelli che sono arrivati qui sotto il ricatto di un superiore, con la prospettiva allettante di un giorno di vacanza o persino di 550 rubli e un pasto caldo stando a indiscrezioni sui social, iniziano ad andare via. E così, quando sul palco appare il presidente Putin, davanti ai maxischermi allestiti all’esterno dello stadio sono rimasti in poche migliaia, benché la polizia parli di 95mila spettatori dentro e oltre 100mila fuori.
Il presidente si presenta in un look “made in Italy”, un maglione a collo alto color crema e un piumino di colore blu di Loro Piana da un milione e mezzo di rubli (circa 12mila euro). In appena cinque minuti, oltre alla legge fondamentale russa, cita il Vangelo e Fjodor Ushakov. Celebrando il “ritorno” della Crimea alla Russia nel 2014, il presidente elogia i militari schierati in Ucraina. «Mi vengono in mente le parole delle Sacre scritture: “Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per gli amici”», dice salutando l’eroismo dei soldati che «combattono spalla a spalla e che, se necessario, si fanno scudo l’un l’altro dai proiettili con il corpo come fratelli». «È passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo sperimentato una tale unità», insiste. E al mondo che dubita del suo successo militare risponde: «Sappiamo esattamente che cosa fare. Come e a spese di chi. E attueremo tutti i nostri piani». E infine si ispira all’ammiraglio russo Ushakov che non perse mai una battaglia: un eroe ai tempi di Caterina la Grande, oggi venerato come santo dalla Chiesa ortodossa.
«Queste tempeste arrivano per la gloria della Russia», cita e conclude sempre in tono evangelico: «Come era, così è e sarà sempre». Ma per chi lo ascolta alla tv, su Rossija 24, il discorso viene interrotto da un precedente filmato dello stesso evento e riprende solo quindici minuti dopo. «Un guasto tecnico», commenta il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov. Ma c’è chi sui social insinua che qualche operatore “più realista del re” abbia staccato su dei fischi che si sarebbero potuti equivocare come segno di disapprovazione.