il Fatto Quotidiano, 19 marzo 2022
Che noia “mortale” quei combattimenti con regole arcaiche
Ai primi accenni di crisi internazionale, i presidenti americani non hanno mai chiesto alla propria diplomazia di superarla o contenerla, ma hanno chiesto al Pentagono: “Dove sono le nostre portaerei?”. Probabilmente anche i capi russi e cinesi chiedono la stessa cosa ai loro generali. Solo che né russi né cinesi hanno portaerei in giro per il mondo e sanno benissimo dove sono i loro sommergibili, missili e carri armati. La stessa domanda non la possiamo fare noi europei continentali ai nostri eserciti, ma potremmo chiedere più spesso agli americani dove sono le loro portaerei, così, tanto per farsi un’idea di dove potranno scoppiare le prossime guerre. In questa emergenza la portaerei Truman è nell’Adriatico e sostiene le operazioni in Romania. È già molto, ma non troppo. Nella Prima guerra nel Golfo ne ruotarono sei, con un minimo di due contemporaneamente nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nel Mediterraneo. In Afghanistan, dove il mare non lo immaginano neanche, durante i primi sei mesi di operazioni la Marina statunitense ha impegnato la sua Quinta flotta per un totale di sei gruppi portaerei, quattro gruppi anfibi, circa 60 mila marinai di professione e 13 mila riservisti.
Per una forza non sottoposta a minaccia deve essere stata una crociera da pacchia, ma anche una frustrazione: non c’era possibilità di morire e nemmeno di diventare eroi. Oggi, finalmente, si presenta l’occasione di diventare eroi per tutti: militari e civili, in Ucraina e in qualsiasi parte del mondo, perché la guerra che si sta combattendo è “ibrida”, militare e civile, convenzionale e nucleare, economica e finanziaria, pluridimensionale in aria, in terra, sotto la superficie terrestre e quella marina, nello spazio e nel ciberspazio ed è una guerra nel tempo. È una guerra di oggi ma proiettata nel futuro. Senza soldati ma con automi, senza contatti diretti ma sofisticate console di comando, come un videogioco. Perché non si stanno confrontando solo Ucraina e Russia, ma Russia e Nato e quindi Russia, Usa e Cina. Tre potenze nucleari che si odiano e si portano dietro altri popoli coinvolti nello stesso odio. O no?
Da ciò che si vede, la guerra in corso è più che vecchia: è arcaica e proprio per questo quasi invulnerabile alle diavolerie cibernetiche e psicopatiche. I carri armati fermi e i contro-carri fermi ad aspettarli rispecchiano una situazione ideale per i cannoni: per l’artiglieria schierata dieci chilometri indietro e i comandanti con i guanti bianchi a “dare i numeri” (i dati di tiro) mentre la fanteria si ritira, come a Caporetto; o come le artiglierie israeliane stancamente insistenti sui villaggi libanesi, a sette chilometri dall’altra parte della valle, due granate ogni quattro minuti, per tutto il giorno, per settimane e mesi: una noia “mortale”; o la batteria di artiglieria americana schierata a 15 chilometri da Fallujah, il cui comandante, tra una coca e l’altra s’inventa il mix di granate esplosive e granate al fosforo bianco con spoletta azzerata in modo che invece di scoppiare a cento metri dal suolo per creare cortine nebbiogene potessero infilarsi negli scantinati e cuocere al forno gli occupanti: shake and bake (scuoti e cuoci), come il pollo impanato.
Non è ancora accaduto, in Ucraina, o forse sì. Intanto la guerra ibrida immaginata dai ricercatori e dai venditori di tecnologie militari negli ultimi vent’anni e che continua a succhiare risorse e cervelli è rimasta nelle menti e negli arsenali di chi l’ha pensata e preparata. E rischia di restarci per sempre.