La Stampa, 18 dicembre 2019
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Biografia di Cristina Trivulzio di Belgiojoso
Trivulzio: un nome glorioso che oggi, purtroppo, resta nell’immaginario collettivo legato quasi solo alla vicenda dell’omonimo «Pio Albergo» che diede il via a Tangentopoli. Eppure era questo il casato della prima donna d’Italia, della nostra più importante patriota risorgimentale, nonché vera creatrice dell’assistenza infermieristica almeno sei anni prima di Florence Nightingale.
Nella generale opera di rivalutazione del mondo femminile tipica di questo periodo, abbiamo inspiegabilmente perso l’occasione per celebrare la marchesa Cristina Trivulzio, poi principessa Barbiano di Belgiojoso (Milano, 28 giugno 1808 – Milano, 5 luglio 1871).
L’esperimento democratico
Eppure, sono passati 170 anni tondi dall’epopea della Repubblica romana, l’esperimento politico nato, sull’onda dei moti rivoluzionari che sconvolsero tutta Europa nel 1848, il 9 febbraio dell’anno successivo, in seguito a una rivolta interna che portò alla fuga di papa Pio IX e all’instaurazione del Triumvirato composto, come noto, da Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi.
Quando il papa richiese l’aiuto delle potenze cattoliche per re-insediarsi sul trono di Pietro, la Francia inviò un corpo di spedizione di 30.000 uomini comandati dal generale Oudinot, che mise duramente sotto assedio la Città eterna, cannoneggiandola pesantemente. La difesa spettò ai bersaglieri di Luciano Manara, ai garibaldini, ai corpi civici, alle formazioni di volontari stranieri e anche al popolo romano che aiutò gli insorti soprattutto per gli aspetti logistici.
L’organizzazione sanitaria
I Triumviri, illuminati dal consiglio professionale del colonnello napoletano Carlo Pisacane, organizzarono in tempi brevi tutta l’ossatura dell’esercito insieme alla struttura operativa sanitaria militare. Spiega il prof. Pier Paolo Visentin, direttore del Centro studi dell’Accademia di Arte Sanitaria di Roma: «Tentarono di fare le cose perbene, istituendo tre ospedali militari, un convalescenziario, un corpo sanitario e ben otto ambulanze. Nonostante l’assedio si svolgesse nella canicola della prima estate non vi furono epidemie di colera, o altro. Tuttavia, nonostante gli sforzi edittali, gli ospedali erano obsoleti, sporchi, poco arieggiati, con poco materiale sanitario, mal conservato e inadeguato; il personale esecutivo era sovente ubriaco, di certo impreparato e poco dedicato. Mazzini ne restò sgomento e chiese aiuto alla principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso» una brillante patriota, giornalista e scrittrice che aveva già organizzato a Napoli un battaglione di 200 uomini per contribuire alle Cinque giornate di Milano. Era la prima volta che un simile incarico veniva affidato a una donna.
Il colpo di genio
Cristina dimostrò subito di essere dotata di eccellenti capacità organizzative: in sole 48 ore rese efficienti dodici ospedali di Roma e fissò la sua residenza in quello principale della Trinità dei Pellegrini. Fino ad allora, negli ospedali romani vi erano solo facchini e portantini per aiutare i medici nel trasporto dei malati.
Probabilmente la patriota lombarda ricordava l’antica tradizione medievale e rinascimentale delle Dame della crociera (le signore delle classi più agiate che, nella sua Milano, assistevano i malati presso l’ospedale Ca’ Granda. Così, aiutata da Enrichetta Pisacane e da Giulia Bovio Paolucci, inventò le ”infermiere«.
Fra le nuove volontarie laiche, la Trivulzio arruolò almeno 300 fra nobildonne, borghesi e persino prostitute, delle quali Roma era tradizionalmente stracolma. La presenza di queste ultime fu abilmente cavalcata dalla propaganda ”nera« che accusava la Trivulzio di aver lasciato i suoi soldati morire senza i conforti religiosi e tra le braccia di donne di malaffare. Nella sua lettera di risposta al Papa, la principessa scriveva: ”Le donne che mi venivano denunciate erano state per giorni e giorni a vigilare al capezzale dei feriti; non si ritraevano dinanzi alle fatiche più estenuanti, né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinanzi al pericolo, dato che gli ospedali erano bersaglio delle bombe francesi. Nessuno poteva rimproverare a quelle donne un gesto meno che decoroso e casto«.
Le infermiere, di diversissima estrazione sociale, erano state selezionate per l’intensità del loro patriottismo e furono sottoposte a un regime paramilitare prefigurando quella che sarebbe divenuta l’organizzazione della Croce Rossa.
Il proclama
Il proclama della Trivulzio del 27 aprile 1849 ben restituisce lo spirito eroico del tempo: «Nel momento che un Cittadino offre la vita in servizio della Patria minacciata, le Donne debbono anche esse prestarsi nella misura delle loro forze e dei loro mezzi. Oltre il dovere dell’infondere coraggio nel cuore dei Figli, dei Mariti e dei Fratelli, altra parte spetta pure alle Donne in questi difficili momenti. Non parliamo per ora della preparazione di cartucce e munizioni di ogni genere cui potranno essere più tardi invitate le Donne Romane. Ma già sin d’oggi si è pensato di comporre una Associazione di Donne allo scopo di assistere i Feriti, e di fornirli di filacce e di biancherie necessarie. Le Donne Romane accorreranno, non v’ha dubbio, con sollecitudine a questo appello fatto in nome della patria carità».
Cristina e le altre
Tra le più famose donne che si spesero senza remissioni fra le corsie degli ospedali, vi furono Marta della Vedova; Enrichetta Di Lorenzo; la scrittrice e giornalista americana Margaret Fuller che raccontò al mondo il bombardamento francese su Roma; Giulia Calame, moglie dell’attore e patriota Gustavo Modena; Anna Galletti de Cadilhac, detta ”la bella di Roma« direttrice del Comitato centrale e moglie del colonnello Bartolomeo Galletti; Adele Baroffio, l’ultima amata da Mameli e tante altre (alle quali dedicheremo il nostro prossimo approfondimento).
Uno dei loro primissimi compiti fu quello di fare la questua per le «filacce» presso le più abbienti case romane. Si trattava di vecchia biancheria di lino che veniva poi sfilacciata per tamponare le ferite; a volte si ricorreva alla collaborazione degli stessi ammalati per la confezione di questo materiale. Il servizio infermieristico di ogni ospedale romano era gestito da una donna: la Calame dirigeva il S. Spirito, la Baroffio il S. Gallicano, la Pisacane il S. Pietro in Montorio e così via. Le volontarie alternavano il loro servizio in turni continui di assistenza nel clima da incubo di quegli ospedali, fra le urla delle amputazioni, il sangue e le piaghe purulente dei feriti.
L’altissima mortalità da ospedale
Purtroppo si era ancora lontani dal comprendere il potere salvifico dell’antisepsi che si affermerà definitivamente solo con Pasteur nel 1864. Eppure, nel 1847, il medico ungherese Ignác Semmelweis aveva intuito l’importanza della pulizia e della sterilizzazione nella cura dei malati. Tuttavia, era egli un fervente nazionalista e quindi le sue teorie vennero osteggiate tanto che il pover’uomo morirà in un manicomio. Certamente le sue rivoluzionarie scoperte non pervennero a Roma in tempo utile. Qui addirittura era considerato un segno distintivo per un chirurgo presentarsi con il camice sporco di sangue. Le filacce e le spugne venivano lavate in modo approssimativo, con acqua fredda e quasi sempre trasmettevano le infezioni da malato a malato producendo una mortalità del 90% dei casi.
Le ragioni di un oblìo
Non era un carattere facile quello della principessa rivoluzionaria. Trattando con medici e fornitori spesso denunciò apertamente negligenze, ruberie e sabotaggi. Quando si trattò di garantire il salario anche ai soldati che erano stati feriti, non diede pace ai triumviri finché non ottenne ciò che voleva. Per questo Mazzini, una volta, esasperato, la definì un vero e proprio «tormento».
Cristina Trivulzio di Belgiojoso era una donna bella, colta, nobile e caparbia: in un paese come il nostro, dove la demeritocrazia ha origini antiche, non tutti le «perdonarono» queste qualità. Ecco spiegato come l’oblio della sua memoria abbia fatto sì che le conquiste di portata mondiale della principessa italiana nella storia della medicina e anche dell’emancipazione femminile passassero di peso a Florence Nightingale, una figura che, al contrario, venne ben sostenuta dalla propaganda nazionale britannica tanto che le vennero dedicati monumenti, piazze, libri, film, giornate mondiali, aeroplani e persino un asteroide. Anche la Nightingale era stata incaricata di organizzare ospedali da campo (durante la guerra di Crimea) anche lei denunciò le pessime condizioni sanitarie in cui versavano i feriti, ma, senza nulla togliere ai suoi grandissimi meriti, arrivò seconda.
Cristina Trivulzio è una «madre della patria» tutta da riscoprire e, ci permettiamo di suggerire, il mondo della televisione potrebbe certamente trarre ispirazione dalla sua vita intensa e avventurosa per una fiction di grande successo anche utile, magari, per ristabilire la verità storica.