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 2022  marzo 18 Venerdì calendario

Storia degli italiani finiti nei gulag

Un nuovo Libro Nero, due decenni dopo l’altro famoso di Stéphane Courtois, invita a fare i conti con il tenebroso passato sovietico, proprio mentre Vladimir Putin in Ucraina sembra rivendicarne bellicosamente l’eredità. Se il «Libro Nero del comunismo», nel 1998, rivelò «senza più se, né ma» la portata dei crimini comunisti in tutte le loro ramificazioni planetarie, questo «Libro nero degli italiani nei gulag», opera collettiva curata da Francesco Bigazzi ed edita dalla Leg di Gorizia, circoscrive la sua indagine al destino dei nostri connazionali coinvolti a vario titolo nelle repressioni, persecuzioni e stermini.
Certo, la portata della tragedia può apparire secondaria, se la si confronta con l’orrore complessivo della storia comunista mondiale, tutt’oggi impossibile da quantificare con precisione, e generalmente calcolata in circa 80 milioni di morti. Ma anche così, questo nuovo «Libro nero» è una tappa fondamentale nell’accertamento della verità storica: gran parte delle sue quasi 600 pagine è occupata da minuziosi elenchi di nomi, biografie sommarie, indicazioni dei vari luoghi di passaggio dei deportati sino alla fucilazione o alla morte per stenti nelle sterminate pianure sovietiche.
Situazioni e condizioni profondamente diverse tra loro, quelle degli italiani vittime di Stalin, accomunati dall’unico destino di «nemici del popolo», in quanto politicamente infidi, o perché arruolati nell’esercito d’invasione fascista, o anche semplicemente colpevoli di appartenere a un’etnia considerata incompatibile con quella russa.
Ma vediamo i numeri. La prima categoria presa in considerazione è quella dei comunisti, antifascisti, anarchici e genericamente estremisti di sinistra che si erano rifugiati nell’Urss scambiandola per il paradiso proletario, oltre che per sfuggire alle grinfie del regime fascista, che li considerava sovversivi a causa delle loro idee. Di questi ne furono uccisi, secondo il calcolo che il Libro Nero aggiorna provvisoriamente, esattamente 822, dei quali 149 fucilati e gli altri dispersi in condizioni proibitive entro i confini di quello che in seguito Aleksandr Solgenitsyn avrebbe denominato «Arcipelago Gulag». Per ciascuno di essi vengono fornite le schede personali complete e i motivi pretestuosi dell’arresto, generalmente riferiti a inesistenti complotti trotzkisti, in realtà motivati spesso da una semplice critica all’organizzazione del lavoro, o addirittura da generica «passività ideologica».
Lo stesso esame minuzioso, nome per nome, viene riservato agli italiani di Crimea, una secolare comunità emigrata inizialmente dalla Puglia in Russia su invito dello zar, che intendeva metterne a frutto la laboriosità nel campo dell’agricoltura e della pesca. Un migliaio di costoro furono deportati durante la guerra per il semplice sospetto che potessero essere in contatto con la madrepatria mussoliniana, e poi fatti sparire in remoti gulag asiatici, dove finirono per soccombere quasi tutti di stenti. su latitudini politiche e ideologiche opposte, i soldati dell’Armir, ottava armata italiana al fronte orientale, cui è dedicato un approfondimento particolare.
In questo caso si parla di 64 mila prigionieri di guerra dispersi, la maggior parte dei quali – circa quarantamila – furono sepolti spesso senza nome in differenti campi di concentramento siberiani, mentre gli altri caddero sfiniti e furono ricoperti dal gelo durante i trasferimenti in prigionia (le guardie sovietiche intimavano di «andare avanti» senza tregua, fino alla perdita completa delle forze). I corpi di moltissimi altri soldati dell’Armir invece vennero semplicemente scaricati dai treni piombati che li conducevano ai luoghi di sterminio, uccisi dalla mancanza di cibo, dalle ferite e dalle malattie.
Altri capitoli del libro sono dedicati alle condizioni politiche parallele che accompagnarono il grande massacro: la rete di spionaggio messa in atto, con criteri simili a quelli sovietici, dal regime fascista nei confronti dei fuorusciti; la pratica di delazione interna organizzata dal Pci ai danni dei connazionali; la persecuzione generalizzata del clero cattolico. Su tutto spicca la ormai famosa lettera firmata da Palmiro Togliatti con lo pseudonimo di «Ercoli», in cui affermava di considerare la morte di tanti italiani come un giusto modo di far comprendere alla nazione l’errore di aver creduto nel fascismo.
Oggi, il nuovo «Libro Nero» finisce per assumere un significato particolare nel momento in cui l’imperialismo post sovietico, rialzando la testa, ripropone la logica inumana della sopraffazione e della liquidazione degli avversari come mezzo per la risoluzione dei conflitti.