il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2022
La lingua della guerra
Dal 1945 in poi la lingua della guerra è l’inglese, o meglio l’inglese americano, che non è la stessa cosa. Inghilterra e Stati Uniti si definiscono ironicamente come “due Paesi divisi dalla stessa lingua” e questa divisione è palese nel linguaggio strategico. La prima lingua della guerra è stata probabilmente quella cinese che possiede il corpus più antico e numeroso di letteratura militare che tuttavia si è diffusa soltanto in Oriente.
In Occidente la lingua della guerra è stata principalmente il greco, seguita dal latino e da alcune lingue derivate (italiano, francese e spagnolo) con incursioni del tedesco e del russo. Ma anche queste due erano derivate dalle lingue classiche ed erano costrette a semplificazioni e selezioni dei concetti in modo che il loro mondo potesse comprenderli. Nell’Impero austro-ungarico del 1908 su 52 milioni di abitanti, 12 milioni erano tedeschi, 10 milioni ungheresi, 8 milioni cechi e slovacchi, 5 milioni fra serbi e croati, 5 milioni polacchi, 4 milioni ruteni, 3,5 milioni rumeni, 2 milioni turchi, 1 milione sloveni e circa 1 milione italiani. Tutti questi, in varia misura, fornivano soldati all’esercito imperiale e i quadri di lingua tedesca usavano un linguaggio di caserma detto “il tedesco dell’esercito” articolato su non più di cento parole. Con l’espansione del colonialismo, si è affacciato l’inglese e soltanto a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale è esplosa la letteratura militare dell’american english piena di fantasia, giochi di parole, acronimi, sensazionalismo, tecnicismo, mercantilismo e fanatismo pseudo patriottico/religioso. Questo inglese della letteratura sulla guerra asseconda la voglia di farla: è immaginifico, come il linguaggio televisivo e cinematografico, e come questo tende a manipolare la gente; ma quando vuole rivolgersi a un pubblico più qualificato, veste i panni della scienza e della retorica nazionalista. In Ucraina la guerra parla inglese, quello delle canzoni rock, dei serial televisivi, dei contractor che da anni bazzicano da quelle parti. Quello dei proclami governativi in traduzione simultanea che parlano di armi e di eroi, dei comunicati della Bbc che incitano alla guerra e quello di Radio Free Europe/Radio Liberty che diffonde la narrativa americana in altre 26 lingue. Un inglese incomprensibile, ma intuitivo, che propone e commenta immagini blasfeme per molta parte della popolazione non più giovane che non approva i costumi occidentali intrisi di ambiguità, promiscuità, amoralità, così come non approva le croci celtiche e quelle uncinate tatuate sulla pelle dei loro figli e nipoti poveri imitatori di una cultura aliena e oscena. Sono questi vecchi che non lasciano l’Ucraina e conoscono altre croci. Quella latina, quella greca, quella ortodossa di Mosca e ora quella di Kiev. Tutte si riflettono nella loro personale croce: quella della guerra.
Le immagini di un video postato su Twitter da “fonti ucraine e che dovrebbero essere veritiere” come dice chi le diffonde (Sussidiario.net), mostrano della gente che si inginocchia sul bordo della strada al passaggio di un furgone che si dice stia trasportando il tesoro della cattedrale greco-cattolica di Santa Sofia di Kiev compreso il tabernacolo col Santissimo Sacramento in un posto “sicuro”, un “bunker segreto”. Alla prima osservazione, le immagini sono commoventi e di grande ispirazione, ma è alquanto improbabile che un furgone sia sufficiente a trasportare i tesori della millenaria cattedrale. E se si trattasse anche soltanto del carico dei valori più preziosi e del tabernacolo, bisognerebbe augurarsi che non fossero diretti a un bunker e non in Ucraina, meglio un caveau in Polonia. E questo dovrebbe essere un suggerimento per altri trasporti “eccezionali”: i bunker in guerra sono protetti dal cemento ma da nessuna legge, come invece lo sono le sei cattedrali di Kiev e gli altri siti storico-culturali. È vero che le chiese sono obiettivi facili da colpire e che le leggi possono essere facilmente violate da chi fa la guerra. Ben 113 chiese serbo-ortodosse anche di grande valore storico-artistico, sono state profanate e saccheggiate dai “patrioti resistenti “in Kosovo dal 1999 al 2004. Le rimanenti rimaste sane sono ancora sotto la protezione delle truppe. Ma è anche vero che il cemento più duro cede alle bombe e se non cede, ogni bunker ha una porta che si apre dal di fuori e dal di dentro. “Sono giunte informazioni che le truppe russe stanno preparando un attacco aereo sul santuario più importante del popolo ucraino dai tempi della Rus’ di Kyiv: la Cattedrale di Santa Sofia di Kyiv”, aveva fatto sapere negli scorsi giorni con massima urgenza il segretariato dell’arcivescovo maggiore di Kiev della chiesa greco-cattolica ucraina in Vaticano. E anche questo suonava strano: il complesso monumentale di Santa Sofia non è più luogo di culto religioso da diversi anni e non è greco-cattolica, ma ortodossa. La cattedrale greco-cattolica è nuovissima e nei suoi sotterranei ha rifugi quasi anti-atomici: posto migliore per proteggere l’Eucaristia, in Ucraina non c’è. Rimaneva il fatto che comunque si trattasse di una dimostrazione della grande fede religiosa e patriottica del popolo ucraino in un periodo di grande pericolo bellico. Fede e patriottismo sono inequivocabili anche senza il bisogno di processioni. Gli ucraini lo hanno sempre dimostrato anche quando la patria era la Russia e la Russia considerava, e considera, l’Ucraina come terra dei propri padri. Ma anche nel caso del tabernacolo si scorge un problema di lingua. Mentre il video si diffondeva in modo virale veicolato nella lingua della guerra, si scopre che è stato postato da un diacono cattolico inglese che lo aveva ricevuto da un altro diacono cattolico durante un forum di preghiera. Qualcuno ha scoperto che il video ritraeva un funerale di un eroe ucraino morto nel 2018, ma anche questo non era del tutto vero. Il video è stato messo su Youtube nel 2015, come dice Shannon Mullen della CNA – Catholic news agency – Washington, D.C. Mar 15, 2022 / 15:30 p.m., nel solito inglese che i vecchi ucraini non capiscono. A questo accertamento dei fatti qualcuno ha commentato con il nostro “vabbeismo”. “Vabbè l’importante è pregare”, qualcun altro ha detto “questo dimostra quanto facilmente l’essere umano si possa essere manipolato quando è preda delle emozioni”, in inglese. Hanno ragione entrambi. E la gente ucraina si predispone a subire un doppio martirio: quello del corpo a causa delle bombe e quello della mente a suon di emozioni.