il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2022
Le bugie di Sala sull’Expo del 2015
Oggi, con la guerra alle porte di casa, ci sono preoccupazioni ben più gravi. Così sta passando in sordina l’Expo di Dubai, che si chiuderà il 31 marzo, e la serie di grandi concerti previsti al padiglione italiano. Ed è stato dimenticato anche l’Expo di Milano, la cui società di gestione ha proprio ora chiuso i battenti. Sala ha festeggiato l’evento con dichiarazioni entusiastiche. Permetteteci dunque di tornare sull’argomento, per l’ultima volta. “Ho ricevuto una grande notizia: è stato completato l’iter di liquidazione della società Expo 2015 e sono ritornati ai soci, tra cui il Comune di Milano, i fondi che sono rimasti in cassa, cioè 50 milioni. Ora ditemi voi, io non ricordo un’opera pubblica in Italia che sia stata fatta in tempi giusti, per bene e spendendo meno del previsto”. Così ha detto Sala in un video postato su Instagram. “So quanto lavoro, quanti sacrifici, quanta passione io e il mio team abbiamo messo nell’esposizione universale di Milano e so anche che senza la collaborazione di tutti non saremmo mai arrivati a farcela”.
Così Sala – dimenticati gli arresti, le ruberie, le infiltrazioni mafiose e la sua condanna per falso da cui si è salvato solo grazie alla prescrizione – racconta ancora una volta la favola dell’impresa fatta in attivo, che si chiude, alla liquidazione, addirittura con un patrimonio netto di 51 milioni da restituire agli azionisti (ministero dell’Economia, Regione Lombardia, Comune di Milano, Città metropolitana, Camera di commercio). Già nel maggio 2020 aveva dichiarato che “la società Expo 2015 in liquidazione presenta dei conti che riassumono dieci anni di percorso con un avanzo, quindi un utile, di 40 milioni”. Strana concezione dell’“utile”. Sarà bene ricordare i conti veri: Expo è costato 2,4 miliardi di euro di soldi pubblici; i ricavi (da biglietti, royalties e sponsorizzazioni) sono stati circa 700 milioni. Questa la nuda verità. Chi si vanta del fatto che alla fine sia rimasto qualcosa in cassa è come il figlio a cui il padre affida un tesoro di oltre 2 miliardi e che dieci anni dopo gli restituisce giulivo un gruzzoletto di 50 milioni. Avrà fatto, con il tesoro speso, un’impresa memorabile? Il giudizio resta aperto. C’è chi sostiene che Expo 2015 abbia rilanciato Milano e l’abbia resa una metropoli internazionale, anche se non esistono valutazioni attendibili e conti certi, ma soltanto ipotesi, molta retorica e molto marketing. Quanto più bene avrebbe fatto a Milano un investimento di 2,4 miliardi spesi, invece che per una fiera internazionale del cibo della durata di sei mesi, per costruire case popolari, parchi pubblici, musei, piscine, impianti sportivi?
Quanto al grande lascito morale di Expo, la Carta di Milano “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, oggi ci appare come un colossale esercizio di ipocrisia. Le indicazioni per risolvere i problemi mondiali dell’alimentazione, della produzione di cibo, della fame del mondo, firmata da capi di Stato, ministri, politici e cittadini, è rimasta un elenco di buone intenzioni, subito dimenticate non appena si sono spente le luci dell’esposizione. La Carta di Milano ha cercato di dare dignità culturale e planetaria a una modesta fiera temporanea del cibo. Il segretario generale della Caritas Internationalis, Michel Roy, aveva dichiarato: “È una Carta scritta dai ricchi per i ricchi. Non si sente la voce dei poveri del mondo. Contiene una nobile e giusta esortazione a evitare gli sprechi, ma non parla di speculazione finanziaria, accaparramento delle terre, ogm, perdita della biodiversità, clima, speculazioni finanziarie sul cibo, acqua, desertificazione e biocombustibili”. Non sappiamo con certezza se Expo abbia fatto bene a Milano. Sappiamo che l’area su cui si è svolta resta, sette anni dopo, un cantiere dal futuro incerto. Di certo Expo ha fatto bene a Sala, ieri commissario, oggi sindaco, domani chissà.