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 2022  marzo 18 Venerdì calendario

Intervista a Giuseppe Pedersoli, figlio di Bud Spencer


Salsicce e motori, scazzottate acrobatiche e cori esilaranti, duelli in moto alla Sergio Leone, uno psicologo tedesco con il piglio di Donald Pleasence, una delicata equilibrista da luna park, il killer Paganini con gli occhi di ghiaccio. E, soprattutto, una Dune Buggy col tettino giallo celebrata dal brano degli Oliver Onions, oggetto d’amore degli amici-rivali, il meccanico e il camionista, Bud Spencer e Terence Hill....altrimenti ci arrabbiamo! di Marcello Fondato è il film più amato dai fan della coppia, con scene che dal 1974 fanno ridere le famiglie di tutto il mondo. Il 23 marzo arriva in sala con Lucky Red Altrimenti ci arrabbiamo! degli YouNuts, con i figli dei personaggi di allora, Alessandro Roja e Edoardo Pesce. A ricordarci e raccontarci l’originale (disponibile su Infinity) c’è Giuseppe Pedersoli, regista e produttore, figlio di Bud Spencer: «Non ho ancora visto il nuovo film. Quasi cinquant’anni dopo un rifacimento ci sta. Spero sia bello, gli attori sono molto bravi».
È stato il maggior successo della coppia.
«Nel mondo, più del secondo
Trinità. In Germania incassò più di Bond. L’ho rivisto da poco, è una favola surreale, ha conquistato il pubblico con battute e scene originali. Non fu osannato dalla critica, ma poi rivalutato e, nel suo genere, molto riuscito».
Nel ’74 lei aveva 13 anni.
«Durante le vacanze scolastiche volavo sul set a Madrid, mi rivedo con gli occhi sgranati davanti alle scene di azione fantastiche degli acrobati del cinema, che furono un elemento del successo. Dalla sequenza iniziale della gara, coreografata dal più grande esperto di corse di automobili del cinema, Remi Julienne, alle scazzottate nella palestra e al luna park. Era una grande giostra».
Diceva della chimica tra Carlo Pedersoli e Mario Girotti.
«Erano complementari, nell’inquadratura e per carattere.
Terence aveva dieci anni di meno di papà e lo aveva ammirato nella parte sportiva della sua vita. Erano disciplinati, rispettosi, mai una gelosia. Dai western di Colizzi ai Trinità, è emerso il loro grande potenziale comico, spesso spontaneo. Il coro dei pompieri col grido e la gag delle labbra è stata un’idea di papà sulla musica dei fratelli De Angelis. Erano set divertenti, sereni, lo so perché poi ho lavorato con loro da produttore».
Il più bel ricordo?
«Non un set, ma uno stadio: a ottant’anni papà fu chiamato dal Comitato olimpico internazionale, doeva consegnare un mazzolino di fiori ma in 15 mila scattarono in piedi ad applaudirlo. Per lui i ricordi sportivi erano la parte più importante, il cinema lo ha vissuto come un regalo del destino reiterato per più di 40 anni. L’affetto del pubblico per i suoi film facili era una sorpresa, mentre era orgoglioso delle conquiste sportive. Per lui i grandi erano Gassman, Sordi. Non aveva studiato recitazione, a 37 anni era finito per caso sul set di Dio perdona... io no».
Una fama mondiale e un museo a Berlino.
«C’è uno studio universitario italo-tedesco sulla loro popolarità, che spiega: i loro film erano semplici ma rispettavano tutti, divertivano ma non offendevano. Ancora oggi li vedono nonni e nipoti insieme. E poi anche le dittature non li hanno mai censurati. Sono stati per certi versi un’ancora di salvezza, di spensieratezza anche in paesi oppressi dai regimi. E sono ancora piacevoli: Piedone lo sbirro, al di là delle auto della polizia antiche, trattava valori e argomenti attuali».
Un papà super.
«Era sovradimensionato anche fuori dal set, grande stazza e grandi mani davano senso di protezione.
Per i miei amici di scuola era un mito, a casa solo nostro padre.
Aveva costruito un personaggio di burbero buono che incute timore solo ai cattivi ma non ai bimbi, che lo hanno sempre sentito come una figura protettiva. Ha incarnato le caratteristiche del supereroe. Non voleva mai tradire quel che si aspettava il pubblico, per questo rifiutò film con Fellini e Ferreri.
Diceva: nelle scene agisco con qualche secondo di ritardo, perché il pubblico deve pensare prima di me: “ecco, adesso gli mena”. Hill era il furbo, lui l’uomo semplice che fa quello che tutti vorrebbero davanti a un sopruso».
I migliori momenti sul set?
«Per papà, le colossali mangiate. Hill era sempre a dieta con una mela in mano. Ma la spaghettata a casa nostra era una piacevole ricorrenza, Terence chiamava mamma: “Mi prepari gli spaghetti al pomodoro alla Maria?”. Nelle pause di lavoro, nella roulotte di papà si radunavano stuntman e amici per il rito della mangiata».
L’incontro con Ermanno Olmi?
«Quel ruolo in Cantando dietro i paraventi è stato importante. Per Olmi fu una grande scoperta, per mio padre la soddisfazione di lavorare con un grandissimo autore, dopo tanta serie B. Olmi ha proposto papà e Hill per il David di Donatello alla carriera, un inaspettato riconoscimento di valore. Alla cerimonia lesse una motivazione appassionata, per Terence e papà fu forse l’emozione più grande».