Corriere della Sera, 18 marzo 2022
Intervista a Fabri Fibra
A dispetto del titolo, le idee le ha chiare. Fabri Fibra è il rapper zero, quello che ha riportato il genere in Italia dopo l’implosione anni Novanta. Con «Tradimento» nel 2006 fu il primo ad andare al numero 1 in classifica. Una carriera da apripista, rime dure e tormentoni. «Caos» è il decimo album, arriva a cinque anni dall’ultimo lavoro. Un disco vario fra basi acide, pezzi in levare, chitarre e scratch, e rime senza le scorciatoie di chi vuole vincere facile con nomi e parole in inglese.
Ad ascoltarla, l’idea è che il caos sia dentro ma fuori...
«Questo album è un viaggio che ho fatto da solo, sono anche il direttore artistico del progetto, perché volevo fosse personale e non assomigliasse ad altro. La scrittura mi ha aiutato a mettere ordine nel mio disordine. È qualcosa che ho dentro, ma che arriva anche dall’esterno, non solo per i conflitti di questi giorni o per la pandemia».
Per i suoni ha scelto sia produttori storici come Fish che nuovi talenti come Zef o sorprese come Michielin.
«Nel rap italiano tutte le basi si assomigliano. Se ne usi una trap ti porta automaticamente al materialismo, alle rime su scarpe e Rolex. Ne ho cercate più musicali per esprimere emotività. Se parlassi di auto e locali notturni non sarei credibile, lo sono invece se parlo di incertezze, del non sentirsi all’altezza perché arrivo dalla provincia e una volta a Milano mi sono trovato in prima linea».
I pezzi da ego trip del rapper che schiaccia i concorrenti ci sono ancora però...
«C’è una tradizione rap da portare avanti senza farsi tentare dal mainstream. Non lascio il posto, lo tengo occupato. A 45 anni voglio fare rap senza apparire ridicolo e cedere alle richieste del mercato, vestirsi bene e cantare».
In molte rime se la prende con l’ossessione del vestire bene. Lei sempre tuta nera?
«Non ho mai voluto avere a che fare con gli stylist anche se ho notato che se pubblichi due foto con la stessa felpa la gente te lo fa notare e quello diventa più importante delle tue idee. Steve Jobs ha rivoluzionato il mondo portando sempre lo stesso maglione. E anche io devo pensare alla mia identità. Se gli sei riconoscente, il rap ti ripaga. All’inizio mi ha tenuto fuori dai guai, mi ha fatto conoscere me stesso e i miei limiti, mi ha fatto rappare con i miei idoli Ax e Neffa, conoscere Vasco, Battiato e Saviano e oggi mi fa parlare ancora ai giovani. Altrimenti sarei in un ufficio con la valigetta a fare un lavoro che non mi interessa come nel video di “Propaganda”».
Il tema del brano sono i politici che illudono la gente. Quello che rispetta «chi ha la divisa anche se l’Italia l’ha un po’ divisa» è Salvini?
Quando arrivi al primo posto in classifica hai più soldi ma allo stesso tempo
ti senti più solo
e cerchi
le canne
«Certo, ci si vede Salvini, ma è un brano con più chiavi di lettura. In fondo tutti noi siamo così sui social, facciamo propaganda di noi stessi e dedichiamo così tanto tempo al nostro io pubblico che quella sembra la vita vera».
In «Liberi» si vergogna del «rapper duro con il portafoglio gonfio».
«Per la fretta di pubblicare dischi in passato ho seguito i cliché. Era il periodo in cui facevo feat con tutti, li distribuivo un po’ come i numeri dal salumiere...».
«Fumo erba» parla di eccessi con le canne, mentre in un progetto esterno per Red Bull dice di essersi disintossicato. Quindi?
«Ho sempre fumato, da quando ascoltavo i Cypress Hill che con teschi e foglie di marijuana erano perfetti per attirare un adolescente. Non rinnego le canne, ti danno un’identità, ti conosci. Come in tutto devi avere la giusta proporzione. Quando arrivi al numero 1 in classifica sei più solo, hai più soldi, e quella cosa del fumo prende piede. Ci sono stati momenti in cui mi ha condizionato molto la vita. Ad esempio, non vedevo l’ora che un’intervista finisse perché pensavo alla canna che avrei fumato dopo. Riascoltavo le interviste e pensavo “ma che dico!”. Non è un pentimento, ma sono 6 mesi che non fumo. Ci ho dato un taglio. Ho smesso anche con alcool e sigarette, altrimenti una cosa chiama l’altra».
Ci sono feat con gli altri numeri uno del rap, Guè, Marra e Salmo, e scelte inconsuete come Carucci (ex Otago) Colapesce e Dimartino. Come li ha scelti?
«I feat sono il bello del mischiarsi col pop. Prima o poi vorrei avere anche un brano per Vasco o Cremonini... Con Carucci abbiamo in comune il tenerci lontani dalle luci della ribalta, il non frequentare i privè. Colapesce e Dimartino hanno dato credibilità e ironia a “Propaganda”: con Guccini sarebbe stata pesante».
Nel 2013 la cancellarono dal Primo maggio per i testi «sessisti». In «Nessuno» canta (più che rappa) i deliri di uno stalker.
«Il cantato vuole farlo sembrare uno romantico, nella seconda parte emerge la personalità disturbata. Il femminicidio in Italia è un problema. Ho provato a raccontare quello che la cronaca non mostra, la persona alla deriva».