Corriere della Sera, 17 marzo 2022
«È come un Medioevo» dice Orhan Pamuk
«Se non ci sarà una Terza guerra mondiale è perché la mappa della Guerra Fredda è ancora valida, il che significa che la volontà del popolo ucraino non sarà rispettata». È lucido e addolorato Orhan Pamuk. Davanti a lui scorrono di continuo le immagini di morte trasmesse dalla tv: «È una guerra medievale. Non ci dormo la notte» dice. E in questa intervista esclusiva con il Corriere della Sera lo scrittore turco, premio Nobel per la letteratura, sente il dovere di dare il suo contributo di intellettuale in tempo di guerra.
Arriveremo al conflitto mondiale?
«A volte lo penso veramente ma in altri momenti no e il motivo è che sia Putin che Biden rispettano la mappa della guerra fredda. Il dominio russo in Europa è riconosciuto dagli Stati Uniti ed è per questo che non sarà mai decisa una No-fly zone sull’Ucraina, d’altra parte la Russia ha dimostrato in molte occasioni di riconoscere il dominio degli Stati Uniti in Medio Oriente. Gli ucraini hanno scelto moltissime volte nelle loro elezioni di far parte della democrazia occidentale ma questo non viene loro permesso perché le grandi potenze non vogliono eliminare la vecchia mappa. Tuttavia bisogna ricordare che quel vecchio equilibrio è ormai rotto: la Polonia è entrata a far parte della Nato così come Estonia, Lettonia e Lituania».
Lei crede che la Ue, la Nato e gli Stati Uniti stiano facendo abbastanza per difendere l’Ucraina?
«La guerra di Putin è una guerra medievale, dobbiamo ricordare cosa scrive Umberto Eco sul ritorno del Medioevo. Purtroppo quello che aveva previsto sta accadendo. Concetti come “dominio” o “sfere di influenza” sono argomenti medievali in cui non c’è democrazia e la libera scelta del popolo non è rispettata. Non solo il volere degli ucraini viene ignorato, ma i cittadini vengono crudelmente bombardati e uccisi».
Lei dice che il Medioevo sta tornando. Altri pensano più al XX secolo che è stato caratterizzato da conflitti tra grandi potenze.
«È vero, in questi giorni ho pensato spesso a Monaco nel 1938, quando la Gran Bretagna cedette gran parte della Cecoslovacchia alla Germania di Hitler nella speranza di assicurare così la pace. Questa storia è narrata nel secondo volume del romanzo di Jean Paul Sartre Le strade della libertà. A dire il vero Obama ha commesso esattamente lo stesso errore guardando dall’altra parte nel 2014 quando Putin si è impossessato della Crimea».
Ci sono persone che dicono né con Putin né con la Nato.
«Non sono d’accordo con questa affermazione, la Russia è il Paese invasore. Prima della Seconda guerra mondiale molte brave persone hanno difeso la pace ma quando Hitler ha iniziato a invadere non hanno più detto pace, hanno detto: “Questa è l’invasione di Hitler”. Hanno identificato l’invasore. Putin e la Nato non sono la stessa cosa. Putin sta invadendo un Paese, distruggendo un Paese. Quindi non sono uguali».
Il sentimento anti-russo sta crescendo in Occidente. Cosa si può fare per fermarlo?
«Sono molto critico nei confronti di ciò che sta facendo Putin, ma continuerò a insegnare Dostoevskij e Tolstoj nella mia classe alla Columbia University. Essere arrabbiati per quello che sta facendo Putin è una cosa, ma dovremmo evitare di diventare razzisti nei confronti dei russi, non dovremmo proprio dare la colpa alla cultura russa che è una grande cultura».
Lei ha scritto delle culture diverse e di come avrebbero potuto arrivare a capirsi. Ora Occidente e Oriente sembrano così divisi.
«Bisogna cercare di capire entrambe le parti in causa ma la sofferenza del popolo ucraino viene prima di tutto e questo lo voglio sottolineare. Ma quando comprendi i due litiganti le tue opinioni divergono, apparentemente non c’è soluzione, spero che si salvino vite umane, spero che Putin non bombardi così tanto l’Ucraina, spero che trovino una via d’uscita».
Erdogan potrebbe avere un ruolo importante per raggiungere un accordo?
«No, non credo. Penso che alla fine la questione sarà risolta tra Putin e Biden. Erdogan e la Turchia vedono questa come un’opportunità per annunciare al mondo che la Turchia è un membro leale della Nato. Anche se il populismo di Erdogan non è stato rispettoso della Nato per molto tempo. Ma in questo momento lui si è allineato con la posizione della Nato, non dobbiamo dimenticare che la Russia è il vecchio nemico dell’Impero Ottomano».
È difficile essere un intellettuale in tempo di guerra?
«Lo è. Ogni giorno mi sento male per gli ucraini e cosa faccio? Niente. Per calmare le persone, ed è quello che voglio fare con questa intervista, devi dimostrare di comprendere entrambe le parti ma non dimenticare mai la sofferenza degli ucraini».
Anche questa è una guerra di parole. C’è molta propaganda.
«Sì questo è terribile,è l’odio dei social media. I vecchi giornali liberali stanno perdendo popolarità, ora ognuno ha il suo mezzo, pensavamo che internet avrebbero reso le persone più informate, più precise, più obiettive. È successo il contrario, ognuno segue la propria linea nazionale. Vedere cosa pensa il popolo russo di questa guerra è davvero deprimente. O leggere sul New York Times che i blogger cinesi stanno sostenendo Putin mi ha frustrato e deluso».
Tre reporter sono già stati uccisi in guerra, eppure a volte il giornalismo viene messo in discussione. Perché?
«Perché i media che tutti leggono, dal New York Times alla Frankfurter Allgemeine, da Le Monde al Corriere della Sera, purtroppo stanno perdendo il loro potere. Ormai le persone si informano su internet, non si fidano dei giornalisti, si fidano dei loro amici su Facebook che non sanno niente di niente. E invece di leggere i giornali dove c’è denaro, controllo e verifica dei fatti, preferiscono i social dove, come avrebbe detto Umberto Eco, c’è una nuova fantasia medievale».