il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2022
Son tornati i Pigs?
L’alleanza tra questi quattro Paesi è un fatto scontato, quasi naturale: sono quelli più penalizzati dall’attuale assetto della regolazione Ue (dal bilancio in giù). Certo quest’appuntamento in vista del prossimo Consiglio europeo non è un bel segnale per le ambizioni rispetto alla politica continentale con cui Mario Draghi si era presentato a Palazzo Chigi. Si parla dei nuovi “Pigs”, senza la doppia “i” dell’Irlanda che anche dieci anni fa era un caso a parte: ieri è stato annunciato per venerdì un vertice a Roma tra il nostro presidente del Consiglio e i suoi omologhi di Spagna (Sanchez), Portogallo (Costa) e Grecia (Mitsotakis), quest’ultimo in collegamento. Pigs appunto, dalle iniziali dei Paesi, nomignolo spregiativo (significa maiali in inglese) che la stampa finanziaria anglosassone iniziò a usare – con una tipica operazione di colpevolizzazione delle vittime – ai tempi della cosiddetta “crisi dei debiti sovrani”.
L’Italia e gli altri tre convenuti hanno diversi interessi in comune, dunque non meraviglia che discutano una posizione comune, ma è appena il caso di notare che nel suo primo anno, Draghi fungeva da “avvocato” dei Paesi mediterranei, i cui interessi portava al tavolo della sua intesa con la Francia sulla riforma dell’Eurozona nel tentativo di disarticolare l’egemonia franco-tedesca sull’Unione. In tempo di guerra, evidentemente, l’asse con Macron non è più saldo come in pace: la linea italiana sulla reazione europea alla crisi scatenata dal costo dell’energia prima e dall’invasione dell’Ucraina dopo fatica a passare e così i Pigs si riuniscono per elaborare una strategia comune in vista del Consiglio europeo della settimana prossima.
D’altra parte in Europa i segnali di normalizzazione, di un ritorno al passato, si colgono già. Il primo, il più preoccupante, è stata la scelta della Bce di procedere verso una politica monetaria più restrittiva nonostante lo scoppio della guerra a est. Il secondo, simbolico, la decisione di inserire nel comunicato finale dell’Eurogruppo finanziario di lunedì il riferimento a una “graduale discesa del debito” dal 2023 come compito ineludibile per i Paesi ad alto debito pubblico. Il terzo il rifiuto opposto finora dalla Germania e dai suoi molti satelliti a una risposta comune alla crisi asimmetrica (nel senso, per dire, che colpisce più l’Italia) scatenata dalla crisi ucraina. Draghi ha bisogno di alleati, si spera che stavolta non finisca come dieci anni fa, quando peraltro l’attuale premier giocava con la squadra avversaria.