Corriere della Sera, 16 marzo 2022
L’indiano e l’inglese, la lezione di Tolstoj
«Durante la guerra gli indiani avevano fatto prigioniero un giovane inglese: lo legarono a un albero, intenzionati a ucciderlo. Un vecchio indiano si avvicinò e disse: “Non lo uccidete, datelo a me”. E così i suoi compagni glielo lasciarono. Il vecchio indiano slegò l’inglese, lo condusse alla sua capanna, gli diede da mangiare e gli preparò un giaciglio per la notte. La mattina dopo, l’indiano ordinò all’inglese di seguirlo. Camminarono per un pezzo, e quando furono vicini all’accampamento inglese, l’indiano disse: “I tuoi compagni hanno ucciso mio figlio, e io ti ho salvato la vita: tu torna pure dai tuoi, e continua a ucciderci”. L’inglese si meravigliò, e disse: “Perché ti prendi gioco di me? So che i miei compagni hanno ucciso tuo figlio: cosa aspetti dunque ad ammazzarmi?”. Allora l’indiano disse: “Quando stavano per ucciderti, mi sono ricordato di mio figlio, e ho provato compassione per te. Non ti sto prendendo in giro: torna dai tuoi, e continua pure a ucciderci, se è questo ciò che vuoi!”. E l’indiano lasciò libero l’inglese». Mai come in questi giorni d’apocalisse, bombardamenti, cadaveri riversi nelle strade, donne massacrate con il loro piccolo nel ventre, esodi biblici dall’inferno e odio, odio, odio, vale la pena di rileggere quel brevissimo apologo di Lev Tolstoj intitolato L’indiano e l’inglese e tratto da I quattro libri di lettura scritti dall’immenso autore di Guerra e pace. Una raccolta, spiegò Ermanno Olmi nell’introduzione a una nuova edizione, «scritta a più mani, molte mani, in complicità fra un genio universale della letteratura», il conte Lev Nikolaevi Tolstoj appunto, che aveva messo su nella sua tenuta a Jasnaja Poljana la prima delle sue scuole, «e i piccoli scolari figli dei mužik, i contadini russi, da sempre analfabeti e che, ancora a quel tempo, fra il 1870 e il 1875, appartenevano corpo e anima al padrone, allo stesso modo degli animali». Una composizione corale voluta dallo scrittore mosso da un’idea: «Chi deve imparare a scrivere: i ragazzi di campagna da noi, o noi dai ragazzi di campagna?». Una scuola che, a rileggere l’entusiasmo del regista, era «improntata a una metodologia pedagogica che avrebbe incontrato le ostilità del sistema scolastico russo, perché imperniata intorno alla libertà degli allievi e alla loro partecipazione attiva durante le lezioni». Gira e rigira, sempre lì si torna: ci sono russi e russi...