la Repubblica, 16 marzo 2022
La Russia, il default e lo spettro del 1998
Per i russi la stessa parola “default” è sinonimo di agosto 1998: il crollo del rublo, il collasso del sistema bancario e la svalutazione dei patrimoni accumulati con anni di risparmi. Le banconote venivano gettate dal balcone, si faceva incetta di qualsiasi merce si trovasse nei negozi e ci si ingegnava per sopravvivere con il dollaro scambiato di colpo a 26 rubli invece che sei. La moscovita Anastasia Raspopovaja aveva 13 anni. «Trovai per strada un mucchio di soldi buttati via, li raccolsi e ci riempii una busta di plastica», ricorda.
«Quando arrivai a casa con la busta piena di soldi, i miei genitori mi dissero che potevo buttarli dal balcone. Fu così bello vedere tutte quelle banconote che volavano via». Natalja Kineva, di Novokuzneck, all’epoca 27enne, aveva da poco dato alla luce una bambina. «A causa dell’aumento dei prezzi ci toccò mangiare orecchie di maiale e comprare scarti di mela da frullare per nostra figlia». Lo stesso presidente Vladimir Putin ricorda bene le conseguenze di quella crisi che pose fine al Far West economico e politico degli Anni ’90 seguito alla caduta dell’Urss e delegittimò Boris Eltsin aprendo alla sua ascesa al potere.
Oggi ritorna lo spettro del 1998. Sono scadute cedole per un ammontare di 117 milioni di dollari relative a due bond con scadenza nel 2023 e nel 2043.
Non si tratta certo di una grande cifra, ma è la dimostrazione della paralisi in cui si trova il sistema finanziario moscovita. Putin ha firmato un decreto che permette di pagare in rubli i debiti in valuta estera ai creditori di Stati che hanno commesso “azioni ostili” contro la Russia, tramite conti speciali presso banche russe. Ma questa decisione porta dritta all’insolvenza della Russia perché il regolamento di questi titoli di debito prevede che i pagamenti non siano effettuati in valuta locale. Una forma di tutela per i creditori proprio di fronte a situazioni d’emergenza come quella che si sta concretizzando. La Russia avrà 30 giorni di tempo per cambiare rotta. In caso contrario, il default sarà ufficiale.
Altri parallelismi con il 1998 sono il blocco parziale dei depositi in valuta estera e le altre misure di controllo valutarie annunciate la scorsa settimana dalla Banca centrale di Russia, come il tetto di 10mila dollari ai prelievi da depositi e conti in valuta estera fino al 9 settembre, nonché all’esportazione di contanti in valuta estera dalla Russia.
Secondo Ruben Enikolopov, rettore della Nuova scuola economica russa, la differenza con l’agosto 1998 resta tuttavia enorme: allora il default fu la causa diretta della crisi, anche se i problemi si accumulavano da tempo, oggi invece è solo uno dei tanti segni della difficile situazione in cui si trova l’economia russa. In sostanza, i problemi finanziari sono solo un aspetto di problemi che riguardano l’economia reale. Questione più complessa di allora, dunque, e per la quale non si vede via d’uscita a breve.
Un’altra differenza importante è che allora il default colpì soprattutto le banche russe, che avevano acquistato titoli di Stato a breve termine (Gko), salvo finire in ginocchio causa l’interruzione dei rimborsi da parte dello Stato. Stavolta invece saranno gli acquirenti esteri di obbligazioni di prestito federale (Ofz) a soffrire prima di tutti e questo costituirà un colpo pesante alla credibilità del Paese come debitore. «Un rapido incremento dei prezzi, la svalutazione del rublo, la contrazione dei redditi e il calo del benessere dei russi nel 2022 non saranno conseguenza del default», ha confermato il capo economista di uno dei più grandi think tank russi citato dalla newsletter economica russa The Bell che ha preferito restare anonimo. «Saldare i debiti esteri in rubli è un problema marginale rispetto a quello che sta succedendo all’economia a causa delle sanzioni seguite all’offensiva in Ucraina». L’altra differenza con il 1998 è che la Russia allora non aveva la capacità finanziaria di onorare i propri debiti. Ora la prospettiva di un default non è causata da una politica fiscale poco virtuosa o da una crisi economica, ma da una «decisione politica», quindi di fatto imposta da un fattore esterno. Nel 2022, sostiene Aleksandr Kudrin, responsabile strategia della società di investimenti Aton, ci sono cose peggiori per la Russia di un default a partire dalla tossicità politica dell’economia russa agli occhi degli altri Paesi. I russi sembrano non curarsene. Anche se tra i giovani gira il meme che recita: “Dove nascondere i soldi? Dentro ai rubli tanto là non li cercherà nessuno”.