La Stampa, 16 marzo 2022
La pandemia moltiplica i disturbi alimentari
Scomparire per farsi notare, per gridare aiuto. Può sembrare una contraddizione è invece la realtà quotidiana di chi ogni anno si ammala di disturbi del comportamento alimentare (Dca).
Di anoressia si muore, e ad essere schiacciati nella morsa della malattia sono sempre di più i giovanissimi per i quali, tra l’altro, la legge non prevede ricoveri. Così mentre il mondo era impegnato a fronteggiare il Covid, e ora le ansie della guerra, nei centri specializzati si delineavano i contorni di «una pandemia nella pandemia»: secondo i dati diffusi dal Consorzio interuniversitario Cineca, durante i primi 6 mesi di diffusione del virus, i casi di Dca sono aumentati del 40% rispetto ai primi 6 mesi del 2019: nel primo semestre 2020 si registravano 230. 458 nuovi casi contro i 163. 547 del primo semestre 2019. La Sinpia (Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza) sottolinea poi come i ricoveri in ospedale per cause legate a questi disturbi siano triplicati tra il 2019 ed il 2021 in seguito ai lockdown, con un trend in ulteriore aumento all’inizio del 2022 e un’età di esordio di queste patologie che è scesa ormai tra gli 11-13 anni.
Per i minori poi c’è un problema in più che riguarda la mancanza di centri riabilitativi che possano ricoverare i malati gravi dopo la fase acuta: «Al momento in Italia i minori affetti da disturbi del comportamento alimentare molto gravi possono essere ricoverati per le cure mediche e nutrizionali in un ambiente ospedaliero pediatrico, dove ricevono le cure nella fase acuta della malattia – spiega Luca Modolo, direttore della struttura specialistica Villa Miralago in provincia di Varese, uno dei centri d’eccellenza nella cura di queste patologie – Il proseguo del trattamento in ambiente terapeutico riabilitativo invece è molto difficoltoso per assenza di degenze a medio e lungo periodo dedicate all’età preadolescenziale e adolescenziale con gravi problemi medico nutrizionali».
A Villa Miralago, per capire l’entità del problema, si è passati dalle 69 richieste di aiuto di minorenni nel 2019 alle oltre 300 del 2021: «Avremmo bisogno di dedicare una sezione ai minori gravi ma non possiamo perché la legge ci permette di ricoverare soltanto i minori molto gravi prossimi alla maggiore età (17 anni e mezzo). Abbiamo avuto una deroga speciale per questo, a causa del fenomeno in crescita: prima dovevamo aspettare che avessero 18 anni». Ma anche chi ha al suo interno un servizio ospedaliero riabilitativo, come il Richiedei di Gussago, che dipende dall’Asst Spedali Civili di Brescia, ha liste d’attesa molto lunghe: «La domanda non riesce ad essere coperta, siamo di fronte a una marea di casi che hanno travolto il sistema: dobbiamo dire dei no anche a persone che hanno lo stesso grave quadro clinico. Si pongono anche qui, come abbiamo visto nelle terapie intensive durante la pandemia, scelte eticamente impossibili da fare – spiega Mauro Consolati, responsabile del Richiedei – il dramma quotidiano di noi operatori è dover respingere famiglie disperate. Tutti questi casi hanno fatto saltare l’organizzazione del sistema di cura dei disturbi alimentari, che già prima non riusciva a rispondere a tutte le richieste».
I minori con gravi disturbi alimentari al momento «vengono ricoverati nei reparti delle neuropsichiatrie infantili, diffusi su tutto il territorio nazionale – prosegue Consolati – il problema è che il trattamento della patologia di questi ragazzi ha bisogno di tempi molto lunghi, condizionando la possibilità dei reparti di rispondere alle altre patologie adolescenziali. Sarebbe quindi importante permettere il ricovero dei minori in strutture riabilitative specializzate: queste patologie hanno esordi nell’adolescenza ma spesso, per quanto si possa ricomporre la situazione dal punto di vista clinico, questi ragazzi hanno bisogno di essere seguiti anche nella maggiore età». In Lombardia si sta discutendo anche di questo all’interno della Cabina di regia prevista dalla legge sui disturbi alimentari, approvata l’anno scorso dal consiglio regionale, che aveva come prima firmataria la consigliera Simona Tironi (FI): «Ne stiamo discutendo per cercare di capire come e dove investire le risorse – conclude Modolo – Bisogna sottolineare che la cura di questi disturbi è costosa: ora sono stati inseriti nei Lea e sono stati previsti dei fondi specifici ma la cura di queste patologie può durare anche otto anni».