Il Messaggero, 15 marzo 2022
Intervista a Bresh, che poi si chiama Andrea Brasi
Magari i dischi del rap di nuova generazione fossero tutti come Oro blu di Bresh. 25 anni, genovese, Andrea Brasi questo il vero nome del rapper venerdì ha conquistato con il suo album il primo posto della classifica ufficiale Fimi/Gfk dei più venduti della settimana in Italia (piazzandosi secondo tra i vinili), dimostrando che si può portare dalla propria parte il pubblico dei giovanissimi anche senza cantare necessariamente di stupefacenti, soldi e sesso. Nei dodici pezzi che compongono il disco arrivato a tre anni dall’esordio con Che io mi aiuti, che nel 2019 raccolse i primi esperimenti incisi con gli amici e colleghi Rkomi, Tedua, Izi, Vaz Tè, tutti cresciuti per i vicoli un tempo cantati da De André Bresh, che sembra essere uscito da un film d’autore francese degli Anni 90, spazza via i luoghi comuni del genere citando l’Odissea e Melville (Ulisse), il poeta cubano José Martí e Guantanamera (Andrea), ma anche la storia recente dell’Italia (nel singolo Angelina Jolie, 45,2 milioni di ascolti di streaming su Spotify, menziona Craxi e allude a Tangentopoli). Alzando l’asticella.
Lei, Rkomi, Irama, Blanco: l’unico over 30 presente tra le cinque posizioni è Tommaso Paradiso, quinto con il suo Space Cowboy: la musica italiana è ormai in mano ai ventenni?
«Sì. È evidente che negli ultimi cinque anni ci sia stato un ricambio generazionale, favorito anche dal boom del rap».
Salmo ci ha scritto una canzone già tre anni fa, Stai zitto: I vecchi scureggioni della pop music sono un po’ in difficoltà, sono confusi / in classifica per primi solo i rappusi. La pensa come lui?
«È un’espressione un po’ dura, ma ci sta. Anche a me il pop italiano degli Anni Duemiladieci aveva stancato: era pieno di cliché, di luoghi comuni. La rigidità nei pareri è una conseguenza di un modo di pensare legato a una determinata sottocultura».
Oggi esistono ancora, le sottoculture?
«Stanno morendo. C’è una standardizzazione totale. Quando ero ragazzino, a 16 anni, credevo che saremmo finiti a fare tutti le stesse cose».
E invece?
«E invece niente: è esattamente quello che è successo».
Come ci si differenzia?
«Io nel mio piccolo ho provato a elaborare uno stile unico. Non mi sono lasciato trasportare dalla tendenza del momento. Oggi spesso chi comincia a scrivere pezzi lo fa pensando al successo e per averlo venderebbe l’anima».
Nomi?
«Il mio è un ragionamento generale».
Chi sente affine a lei, tra i colleghi?
«A livello di approccio e di mentalità Massimo Pericolo, con il quale ho inciso Se rinasco, e gli Psicologi, che ho voluto in Alcool & acqua«.
E il suo amico Tedua? Come mai non c’è nell’album?
«Abbiamo fatto tante cose insieme, volevamo prenderci una pausa. I rapporti sono buonissimi: è stato uno dei primi a credere in me».
Si è mai sentito tradito da uno dei suoi eroi musicali adolescenziali?
«No, perché mi sono sempre affidato ai morti: così non potevano deludermi. Penso a De André, a Tenco, a Gino Paoli».
Gino Paoli è ancora vivo.
«Certo, ma era per dire che appartiene a quella scuola di pensiero».
Chi è il De André dei rapper?
«Non esiste e mai esisterà».
Ci si vede a partecipare a una sfilata di moda, come fanno molti suoi colleghi?
«Non ci vedrei nulla di male».
E a pubblicare foto di banconote sui social, un classico?
«No».
A salire sul palco con orologi costosissimi ai polsi, come Sfera Ebbasta?
«Nemmeno».
Quando ha capito che qualcosa si stava muovendo, a livello di numeri e cifre?
«Quando nel 2019 ho presentato il mio primo disco Che io mi aiuti alla Sony, a Milano. Mi fecero una grossa offerta».
Di quanto parliamo?
«Le dico solo che quella somma mi avrebbe permesso di avere una certa stabilità economica».
Prima come si manteneva?
«Dopo il diploma turistico ho fatto di tutto: il commesso in un negozio di scarpe, distribuito volantini, lavorato in un bar gestito dalla mia famiglia».
Disco d’oro per l’album Che io mi aiuti e per i singoli Parà e Step by step. Disco di platino per il singolo Angelina Jolie. Si sente già arrivato?
«No, per carità. Se cominci a ragionare in base ai Dischi d’oro e di platino è la fine. Io tengo i piedi ben piantati a terra».