La Stampa, 15 marzo 2022
Intervista a Michele Riondino
«In un’idea cosmica e ancestrale, Taranto è l’alfa e l’omega». Michele Riondino descrive così nel libro-intervista Senza Padroni: Taranto, l’Ilva e il palcoscenico uscito da poco la forza attrattiva e l’impegno civile nei confronti della città che è stata contaminazione, luogo dove è cresciuto, da cui è scappato contando i giorni per iscriversi all’Accademia d’Arte Drammatica a Roma e dove torna ogni volta che può. Attore, musicista e insieme a Diodato ed altri attivisti mente di festival e concerti, manifesti di resistenza artistica e culturale, Riondino parla di cinema, teatro e musica comea strumenti creativi per riaffermare un’identità collettiva». Ha appena dato corpo, insieme a Lucrezia Guidone, alla metà della coppia nella serie Netflix Fedeltà ispirata all’omonimo romanzo di Missiroli. In cantiere c’è il debutto alla regia- progetto che scrive dal 2017- le cui riprese inizieranno, quasi a chiudere il cerchio, a Taranto.
Musica, tv, cinema, teatro. Non si ferma mai?
«Per come sono fatto io ho sempre qualcosa che mi batte nelle tempie, non riesco a stare fermo oltre che con il corpo, con la mente, sia per quanto riguarda il lavoro sui personaggi che nel mio ruolo di "agitatore" di concerti e musica. Non avverto troppe pressioni esterne ma mi metto sempre un po’ di pressione, sono io la mia goccia cinese che batte sulla testa».
Quando è nata l’urgenza di recitare ?
«È nata a Taranto, intorno ai 15 o 16 anni quando ho iniziato a frequentare i primi laboratori per poi provare a scappare per rincorrere un’avventura, una follia che era allora per me entrare in Accademia. La prima volta che sono salito su un vero palco era però a Roma, per uno spettacolo teatrale. Dovevo mantenere tutto segreto».
L’ultimo ruolo è quello del marito di Fedeltà nella serie tv Netflix, storia di una giovane coppia in crisi. Crede ci sia maggior fluidità e consapevolezza nel modo di vivere l’affettività e il sesso tra le nuove generazioni?
«Decisamente sì, o meglio c’è un’opportunità, la possibilità di affrontare certi temi all’interno della coppia, non farlo significa precludersi una possibilità di apertura e condivisione che rafforzerebbe il sentimento insito nello stare in due. Si fatica ad accettarlo, le generazioni come la mia ma soprattutto quelle precedenti temono la novità, il cambiamento».
In uscita nel futuro prossimo c’è The man from Rome del regista olandese Jaap van Heusden...
«Per me è la prima esperienza importante di produzione internazionale, si tratta di una co-produzione tedesca, olandese, belga ed è una storia originale di cosa significa avere fede oggi attraverso il personaggio di un prete in crisi chiamato a indagare su un miracolo avvenuto in un villaggio olandese e di come l’intera comunità osserva e reagisce a questo evento. Padre Filippo inizialmente è molto scettico, pian piano trova la sua redenzione personale».
In parallelo ai set è da sempre impegnato in attivismo teatrale e musicale. Ci è cresciuto attivista o lo è diventato?
«L’attivismo viene da ciò che sono, fin da ragazzo avevo manifestato il mio dissenso nei confronti di abusi e ingiustizie. Quando nel 2012 è scoppiato il caso dell’Ilva ho visto riconosciuta una causa per cui avevo combattuto anni. Nel tempo è diventata parte della mia quotidianità insieme a un gruppo di musicisti, attori. Tuttora la questione merita un’attenzione che non sempre i media riservano, non è per niente risolta, c’è bisogno di attivismo, chi ha un ruolo pubblico dovrebbe prendere posizione e utilizzare la propria funzione per adoperarsi».
È un tema che la tocca da vicino….
«Come può non esserlo? Ho la mia famiglia che ha lavorato o lavora all’Ilva, ho casi di malattia in casa come tutti, purtroppo è una regola, non è l’eccezione a Taranto. Un cambiamento è necessario. Taranto è una città bellissima che può vivere di un altro tipo di industria, quella legata allo spettacolo e agli eventi culturali».
A proposito di eventi, lei è direttore artistico della rassegna tra musica e cinema Cinzella Festival, cosa accadrà quest’estate?
«Stiamo lavorando all’Uno Maggio con Antonio Diodato e con Roy Paci e il comitato Liberi e Pensanti ma anche a una nuova edizione del Cinzella Festival che in questi anni non si è mai fermato, rispettando i protocolli antiCovid».
Il film a cui lavora sarà la sua storia?
«Non proprio, anche se è in qualche modo legata alle origini. È una storia legata all’acciaieria, all’arrivo a Taranto della famiglia Riva, alla Palazzina Laf. Ho sempre affrontato i temi legati a Taranto da un punto di vista socio-politico o musicale, non l’ho mai fatto con il mio linguaggio, con quello che so fare meglio, ora ci provo, a usare il mio strumento. Raccontarla e realizzarla sì, sarà la mia storia».