La Stampa, 15 marzo 2022
Biografia di Romy Schneider
Al vernissage della mostra su Romy Schneider, a quarant’anni dalla sua morte, ieri, a Parigi, alla mitica Cinémathèque, tutti aspettavano Sarah Biasini. Attrice teatrale, è la figlia di Romy, sempre timorosa di essere strumentalizzata (lo stesso viso, i medesimi occhi). Ha fornito vari ricordi della mamma, ma alla fine non si è materializzata. «È venuta da sola pochi giorni fa», ammette Costa-Gavras, regista (lo fu anche di Schneider, in Chiaro di donna) e presidente dell’istituzione. Non la vedeva da quando era piccolina, durante le riprese di quel film. Sarah è rimasta a lungo, «era molto emozionata». Della madre ha avuto la forza di dire: «È magnifica». Non aveva ancora cinque anni, quando morì nella stanza accanto, mentre lei dormiva.
«Il problema è che di Romy ormai si parla solo attraverso la morte – sottolinea Clémentine Deroudille, la curatrice – e invece delle persone bisognerebbe parlare sempre attraverso la vita. Lei ne trascorse una buona parte sui set dei propri film, dove assorbiva il personaggio. Non era nevrosi, ma lavoro. Era così fotogenica, ma dietro c’erano un talento enorme e una dedizione completa». Star, ma non faceva la star: ogni volta voleva dormire nello stesso albergo del resto della troupe. Recitava indifferentemente in tedesco (la sua lingua materna), francese o inglese. La curatrice aggiunge che «negli ultimi anni ci sono solo uomini che parlano di lei. Io ho voluto ridarle la parola». Grazie alle interviste, i diari, le lettere. Ne viene fuori una donna libera e indipendente (anche dal punto di vista finanziario, fin dall’adolescenza, grazie ai film tedeschi della serie di Sissi, un successo strepitoso).
La mostra si concentra sulla Schneider attrice. Tra i ricordi in mostra, abiti e foto inedite, ne manca uno soltanto. Un anello di ebano, incastonato di diamanti. «Era quello di fidanzamento della mamma di Luchino Visconti – racconta Deroudille -. Durante le prove di uno spettacolo teatrale, il testo di John Ford Peccato che sia una sgualdrina, diretto dal regista italiano a Parigi, lui a un certo momento la trattò male, con condiscendenza, davanti ad Alain Delon, l’altro interprete della pièce e allora il compagno di Romy. Poi, per farsi perdonare, le regalò l’anello». Oggi è di Sarah, che talvolta lo indossa. All’inizio voleva concederlo per la mostra, ma alla fine non ce l’ha fatta. Visconti, comunque, ha una parte importante nell’esposizione. «Fu essenziale nella sua storia di donna e di attrice – continua Deroudille -. Romy accompagnò Alain sul set di Rocco e i suoi fratelli e fu lì che Visconti la notò. Propose alla coppia la loro prima performance in teatro. Visconti fu anche il primo a offrirle ruoli importanti e testi impegnativi. E fece conoscere a Romy grandi artisti e Coco Chanel. Donna indipendente, la stilista era un mito per l’attrice. Divennero amiche».
Non solo: lei trascorse la vita a cercare di scrollarsi di dosso la figura di Sissi, principessa ingenua (che poi, a rivedere quei film, era più impertinente di quanto s’immagini). Con Ludwig (1973), Visconti le permise di portare a compimento l’impresa, interpretando di nuovo Elisabetta d’Austria, Sissi appunto, ma il lato oscuro del personaggio. E pure Romy, come alcuni hanno detto, fu un po’ dark? Visse negli ultimi anni alcune tragedie incommensurabili: il suicidio del primo marito, Harry Meyen (nel 1979), regista teatrale tedesco, ebreo, che era stato deportato durante la guerra (mentre la madre di Romy, attrice famosa, era stata amica e forse amante di Hitler); la morte del figlio David, a 14 anni, infilzato in un’inferriata rientrando una sera, nel 1981; un tumore al rene. Si spense la notte del 29 maggio 1982: suicidio o forse un cocktail sbagliato di alcool e barbiturici. «Ma prima di quell’ultimo periodo – sottolinea Deroudille – fu una persona gioiosa, generosa e in movimento perpetuo. Forse, anche per questo, si sfinì, facendo un film dietro l’altro». L’esposizione si conclude con una foto di Romy scattata durante le riprese di La califfa, diretto da Alberto Bevilacqua. Lì era la moglie di un operaio, morto durante le proteste sindacali. «È di una bellezza incredibile – conclude la curatrice -. Non l’ho mai vista così bella come in quel film».