La Stampa, 15 marzo 2022
A caccia di intelligenze e mondi alieni
Il 2022, anno più che inquieto sulla Terra, potrebbe essere propizio a chi leva gli occhi al cielo, in cerca di altre intelligenze. Aliene. Parliamo degli «Uap» («Unidentified Aerial Phenomena», fenomeni aerei non identificati), acronimo che nelle relazioni tecnico-scientifiche ha rimpiazzato i familiari «Ufo» («Unidentified Flying Objects», oggetti volanti non identificati), termine sempre in voga.
L’amministrazione Usa ha in programma la creazione di un ufficio per studiare le enigmatiche apparizioni celesti, dopo il rapporto al Congresso di Avril Haines, direttrice dell’intelligence americana, in cui venivano evidenziati 18 avvistamenti, in cui, tra il 2004 e oggi, misteriosi oggetti volanti eseguivano manovre «impossibili»: dal galleggiamento stazionario alle accelerazioni improvvise, fino all’immersione nell’oceano. Il tutto ripreso e analizzato dai sensori in dotazione all’Aeronautica e alla Marina Usa.
Se il governo di Washington ha deciso di resuscitare un programma sistematico, anche il settore privato si muove. Con le iniziative Breakthrough, finanziate dal miliardario russo-israeliano Yuri Milner, mirate a cogliere segnali dallo spazio e a spedire una mini-sonda su Alpha Centauri, e con l’organizzazione britannica Initiative for Interstellar Studies che ha messo in cantiere il Project Lyra: è uno studio di fattibilità per raggiungere con una sonda Oumuamua, oggetto interstellare intorno al quale è stata avanzata l’ipotesi che sia frutto di tecnologia extraterrestre. Anche l’università di Harvard è in prima linea: è sede del Galileo Project, fondato e diretto dall’astrofisico Avi Loeb, con lo scopo di indagare gli «Uap» e oggetti come Oumuamua.
Professore, lei è autore di Non siamo soli, edito da Mondadori, in cui spiega le anomalie di Oumuamua e la sua possibile natura artificiale: il Galileo Project potrà inviare una sonda su questo viaggiatore interstellare?
«Non credo che Oumuamua sia più raggiungibile, anche se per me l’ipotesi più probabile è che si tratti di un esempio di tecnologia extraterrestre. Ha alcune stranezze difficili da spiegare: la forma allungata, la capacità riflettente e l’accelerazione improvvisa, che potrebbe essere generata da una vela fotonica. Il Galileo Project, intanto, ha intenzione di scrutare lo spazio per avvistare in tempo il prossimo Oumuamua e prepararsi a intercettarlo».
Come lo vedrete?
«Useremo telescopi come quello in costruzione qui a Harvard. O il Simonyi Survey Telescope, che sarà installato in Cile. Useremo anche i dati satellitari della rete Planet Labs, combinati con algoritmi d’Intelligenza Artificiale. In altre parole, faremo con gli strumenti di oggi quello che fece Galileo con il cannocchiale quattro secoli fa, quando scoprì le lune di Giove e gli anelli di Saturno. Usare la scienza per guardare oltre i pregiudizi».
A proposito di pregiudizi, non la preoccupa la mitologia - e la pacottiglia - che circonda gli alieni?
«È questa nuvola che vorremmo dissipare con il Progetto Galileo. La base è a Harvard, ma si tratta di una rete di ricercatori sparsa per il mondo. Il progetto è complementare al Seti, che esamina i segnali, mentre noi siamo focalizzati sugli artefatti, vale a dire la possibile tecnologia aliena. Con i quasi 14 miliardi di anni di età dell’Universo e le innumerevoli stelle che lo compongono le possibilità che non si sia sviluppata nessuna specie intelligente e nessuna civiltà tecnologica è davvero minima. Abbiamo appena iniziato a setacciare la Via Lattea alla ricerca di esopianeti e abbiamo già trovato una decina di corpi simili alla Terra».
D’accordo, ma gli esopianeti, come quelli nel sistema di Trappist-1, sono a decine di anni luce. Per arrivare qui occorrerebbero astronavi che viaggiano a velocità relativistiche. E lei si dichiara scettico riguardo a viaggi spaziali che violano le leggi della fisica: cosa risponde?
«Non è necessaria una velocità relativistica: le astronavi o le sonde che entrano nel nostro Sistema Solare potrebbero essere state lanciate decine di migliaia, anche milioni di anni fa. E viaggiare con una propulsione chimica o con vele fotoniche o con un sistema misto. Oumuamua potrebbe essere un relitto. Allo stesso modo il nostro "Voyager", forse, un giorno entrerà nel raggio dei telescopi di qualche civiltà lontana».
Intanto fanno sensazione gli avvistamenti dei piloti della Marina Usa: parlano di oggetti che compiono manovre straordinarie e che sembrano intenzionali: che cosa pensa al riguardo?
«Possiamo ipotizzare che siano guidati da un’Intelligenza Artificiale avanzata, in grado di restare funzionante più a lungo di qualsiasi essere biologico e, forse, di autoripararsi. Detto questo, tutti questi avvistamenti devono essere esaminati con attenzione per escludere che si tratti di fenomeni naturali».
Una delle teorie che vanno per la maggiore tra i «guru» del Big Tech suggerisce che, in realtà, l’artefatto alieno saremmo noi stessi e l’intero Universo: ci troveremmo nella bolla di una simulazione virtuale creata da una civiltà aliena. Quanto è credibile una simile idea?
«Conosco la teoria e non mi convince. Non vedo pixel né bytes nel nostro universo fisico. E nessuna particella subatomica mi fa pensare al programma di un computer. Credo, invece, che la realtà sperimentabile attorno a noi sia molto più affascinante e complessa di qualunque realtà virtuale».