La Stampa, 15 marzo 2022
Biografia di Ramzan Kadyrov
La crudeltà non ha bisogno di grandi capi. Le bastano aiutanti volenterosi, esecutori di mediocre livello, oppressori dall’identikit quasi impiegatizio. Per questo Ramzan Kadyrov, «il proprietario» della Cecenia come si fa chiamare, prima o poi doveva arrivare con i suoi miliziani a Kiev. Perché qui, per questa guerra sporchissima, per chiuderla con una vittoria, a Putin occorre una violenza abituale, che avanza ripetitiva, indifferente, statica. Quella in cui Ramzan ha dato prova di essere maestro. Occorre qualcuno che non abbia bisogno di ricorrere alla violenza eruttiva, emozionale e quindi intermittente perché procede a folate e poi si placa.
Per «pacificare» Kiev come è stata pacificata Grozny le emozioni che si impadroniscono dell’uomo e lo tengono in pugno sono inutili, sono un fardello. Occorre qualcuno che abbia già sperimentato la crudeltà e sappia in questo andare al di là di sé stesso, ma senza pensarci, come avviando un macchinario. E che sappia conservare dentro di sé questa condizione tremenda di euforia nella durata, nel tempo. Gente che può decidere un delitto mangiando tranquillante un piatto di «manti», i deliziosi ravioli ceceni; per cui la vita delle persone - perfino quelle del proprio clan - non vale un copeco, li si può disperdere come la cenere al vento.
Se sei ceceno, ribelle o lealista, hai imparato che la realtà è morire con due pallottole in testa. Non ci puoi far nulla, è così. Per questo puoi diventare solo jihadista e andare a combattere le guerre del califfato. O essere un killer di Ramzan, con la divisa nera, e il logo «Tzentoroi», il villaggio in cui è nato.
Putin e Kabyrov: dovevano necessariamente incontrarsi l’ex spia che cercava una leva, uno slogan per diventare zar e il figlio di Akhmad, il capo tradizionale della confraternita dei kuntas – khadzhi, prima indipendentista poi alleato dei russi in odio ai fautori del jihad, a cui era stato chiesto di «cecenizzare» una guerra che Mosca non riusciva a vincere. Quando il 9 maggio del 2004 una bomba nascosta sotto la poltrona nel nuovo stadio di Grozny dove si festeggiava la vittoria contro i ribelli fece a pezzi il padre, Ramzan aveva appena compiuto 28 anni ed era a Mosca. Per decifrarlo, con la violenza, il cinismo, l’ignoranza, le stravaganze, bisogna immergersi in quei 28 anni, riempirli di immagini, urla, torture, guerra, orrore.
Dal 1996 prima guerra russo-cecena: potevi essere ucciso perché avevi incrociato un soldato russo ubriaco, le donne venivano violate e gettate via come oggetti usati, rotti, i ragazzi ceceni catturati durante le retate venivano legati al filo spinato e bruciati vivi e le famiglie quando non tornavano a casa raccoglievano freneticamente del denaro per cercare di riscattarli prima che fosse troppo tardi, e quando era troppo tardi usavano la stessa somma per avere indietro almeno il cadavere; le «vedove nere» si facevano esplodere cercando di portar con sè qualche soldato russo, ma non perché cercavano il martirio del jihad, per la disperazione senza fondo del vivere senza più nulla, sogni, amori, vita.
Se non sapete questo non potrete mai capire perché esista Kabyrov, perché esistano gli innumerevoli Kabyrov che abbiamo incontrato nel nostro bel mondo. È affogati in questo odio puro che costoro hanno scoperto l’esperienza della distruzione comune, della caccia all’uomo, della uccisione. Solo alcuni sanno però passare dalla violenza emozionale, lacunosa, dissipatrice, spietata nei mezzi ma limitata nel raggio di azione a quella pianificata, stabile, intensiva, produttiva. La violenza che regge il potere.
Putin non ha scelto subito Ramzan come erede del padre come per finire il lavoro in Cecenia che l’esercito russo ancora sbandato, umiliato, riflesso del derelitto ed ebbro termidoro eltsiniano non sapeva vincere. C’è una foto di quel loro incontro il 9 maggio al Cremlino: un ragazzo quasi in lacrime, in jeans, e un capo un po’ annoiato alle prese con l’ennesima seccatura nella turbolenta colonia caucasica. Non si fidava, voleva metterlo alla prova, se era in grado come il padre di trasformare i selvaggi e inutili «zatchiski», le operazioni di pulizia condotte dai russi, in una selettiva, metodica macelleria dei «chaitany», i diavoli, della guerra santa islamista.
Ramzan era capace di uccidere come si vuota una pattumiera? Putin lo nominò vice primo ministro, la presidenza la affidò a un uomo del padre, sbirro di carriera, Alkhanov. Per essere il capo doveva dimostrare di saper uccidere. Ramzan che disponeva solo di qualche centinaio di fedelissimi del suo clan, iniziò con i capi di una congiura che con a capo Alkhanov voleva decapitare la successione del «giovanotto». Il cervello si chiamava Baissarov, un gangster che comandava un’unità speciale del Fsb, i Servizi russi. Braccato fuggì a Mosca sperando nella protezione dei colleghi. Un commando di Kabyrov lo eliminò sulla prospettiva Lenin, in centro. Invano cercò di difendersi con granate e pistole. Un altro dei congiurati fu braccato fino a Dubai. Il fratello fu ammazzato a poche centinaia di metri dall’ufficio di Putin. Sì, Ramzan era un uomo utile.
Il padrone di Grozny ha ereditato il metodo della violenza, le camere di tortura hanno continuato a funzionare ma sono diventate le sue, non più dei russi. Il suo terrore si è fatto mirato, selettivo perché sa che uccidere decine di persone non è necessario. Basta eliminarne uno perché gli altri capiscano. I parenti dei terroristi sono stati avvertiti: uccideremo voi, se non si consegnano. Crudelmente ha funzionato. Ha imposto una pace del cimitero, poi ha avviato la «ricostruzione» che con un islam arcaico e tribale è l’altro suo grande argomento di propaganda. Ma Ramzan non è un suddito. Certo senza Putin non esisterebbe. Ma in Cecenia la Russia ha perso, il padrone è davvero lui e la sua nomenklatura di corrotti con grossi orologi d’oro e anelli di diamanti.
La missione a Kiev è la consacrazione di questa realtà, il suo atto finale. Adesso è Putin che ha bisogno di lui, della sua violenza pianificata e indifferente. Gli regalerà, ripulendola come ha ripulito Grozny, la capitale ucraina e chiuderà il cerchio del potere. Il suo potere.