la Repubblica, 15 marzo 2022
Le curve di destra divise sull’Ucraina
No, una “tigre Arkan” italiana ancora non c’è. Ed è difficile immaginare, vista la posizione geopolitica del nostro Paese, che qualche capo ultrà nostrano possa assurgere ai mesti onori criminali di cui si coprì Zeliko Raznatovic: per tutti il comandante Arkan. Ex capo degli ultrà della Stella Rossa di Belgrado, diventato leader della milizia serba ultranazionalista protagonista di atroci massacri durante la guerra nei Balcani degli anni 90. Celebrato dalla curva nord della Lazio con uno striscione (“Onore alla tigre Arkan”) dopo che – era il 15 gennaio 2000, “il signore della guerra” era ricercato dal tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità –, un ex poliziotto 23enne lo freddò a colpi di pistola in un hotel. Arkan: ovvero, dalla curva alla trincea. Un passaggio che in Italia ha visto e vede protagonisti – fatte le dovute proporzioni – altri ex leader curvaioli: su tutti, il mercenario nero Andrea Palmeri, 43 anni, detto il “generalissimo”. Già capo dei Bulldog della Lucchese, dall’estate 2014 è in Donbass a combattere con le milizie separatiste filorusse (è segnalato dall’antiterrorismo per i suoi legami con il battaglione Rusich). Un mazziere tatuato con le stesse croci runiche che, da 40 anni, fanno capolino nella Curva Sud dell’Hellas Verona.
Veniamo dunque allo striscione con il quale gli ultrà della “squadra a forma di svastica” hanno invitato Russia e Ucraina a bombardare Napoli. Domanda: come si schierano, le curve italiane, di fronte al conflitto in corso? Restiamo a Verona. Il capo ultrà della Sud, Luca Castellini, pluridaspato, è sottoposto a sorveglianza per l’assalto alla sede della Cgil il 9 ottobre scorso a Roma. Allo stadio non ci può andare, nemmeno alle manifestazioni No Green Pass. Ma sui social detta la linea. È filorussa. Rispecchia quella di Forza Nuova, di cui “Caste” è dirigente. «La responsabilità di questa guerra – scrive in un post – ricade solo sugli Usa che hanno aperto basi Nato come McDonald’s fin sotto casa di Putin per poi, come soliti avvoltoi in zona Cesarini, “liberare e ricostruire” l’Ucraina in cambio della sua sovranità rendendo schiavo un altro pezzo di Europa». E ancora: «La guerra non è tra Russia e Ucraina ma è ancora tra Washington, Londra e l’euro (con la concorrenza della Cina), per sbranare ciò che resta della nostra Tradizione e Sovranità. L’oggetto del contendere non sono il Donbass o la Crimea ma è sempre e solo l’Europa». Secondo Castellini «la terza guerra mondiale è già iniziata da un pezzo e il suo teatro non è in Ucraina ma dentro ognuno di noi. Se ci opponiamo al NuovoOrdineMondiale che impone pensieri, pandemie, guerre siamo i buoni, i liberi. Diversamente siamo i cattivi o alla meglio i loro schiavi complici». Dici Verona e pensi a Napoli. Al netto della folgorante replica a suon di babà con cui i tifosi azzurri hanno risposto allo striscione sulle bombe, il cuore del tifo partenopeo, sulla guerra in Ucraina, si è espresso il 24 febbraio: un’ora prima dell’inizio di Napoli- Barcellona all’esterno del San Paolo gli ultrà hanno esposto lo striscione pac ifista “No alla guerra”. L’Uefa non lo ha fatto entrare allo stadio per “questioni politiche” ( la terna arbitrale del match era russa). Scritte “Stop the War” sono spuntate anche nella curva della Fiorentina, accompagnate da un “Putin gobbo”, vale a dire – nel gergo dei tifosi – fan della Juventus. Infiltrate da anni da gruppi di estrema destra, le curve italiane, per ora, non prendono posizioni marcate sul conflitto. Con alcune eccezioni. Nel recente derby milanese di semifinale di Coppa Italia, le tifoserie di Inter e Milan hanno colorato lo stadio con 55 mila bandierine gialle e blu, i colori dell’Ucraina, con la scritta “pace”. Una coreografia in solidarietà con il popolo martoriato dall’aggressione russa. Di squallido segno opposto la scritta apparsa qualche giorno fa sui muri di Reggio Emilia. “Putin, bombardaci Parma”. Autori: gli ultrà neofascisti che seguono la Reggiana.