la Repubblica, 15 marzo 2022
Gas dall’Africa invece che russo. Il piano Eni
Il nuovo “piano di sicurezza energetica nazionale” ha come soggetto attuatore l’Eni. Lo va congegnando l’ad Claudio Descalzi, tra soggiorni a Roma, dove ne parla con i vertici delle istituzioni, e mirati viaggi in Algeria, Qatar, Congo, Angola, dove l’azienda ha relazioni d’affari consolidate e peculiari. L’obiettivo sarebbe porre fine alla dipendenza dal gas russo, trovando per fine 2023 forniture diverse per metà dei 29 miliardi di metri cubi “russi”.
Dato il contesto, è come fare un’inversione in autostrada: ma il manager da giorni si raccorda con la Farnesina e con Mario Draghi per approntare la sterzata geopolitica. Del resto, Eni intermedia gran parte del gas usato in Italia, e quasi tutto il russo, che copre il 40% del fabbisogno e risale a contratti del 1974. Il percorso è inverso a quello che il fondatore Enrico Mattei avviò 70 anni fa, comprando a Mosca una fornitura di greggio. Seguirono decine di altri passi tra acquisti di gas, metanodotti paritetici, società miste sugli idrocarburi, raffinerie. Ma dalle sanzioni 2015 molto di quel blasone è stato smontato, e ora l’invasione dell’Ucraina forza a pensare futuri alternativi. «In due mesi riusciremo a dimezzare la dipendenza dal gas russo: non saremo più dipendenti da eventuali ricatti – ha detto domenica il ministro degli esteri, Luigi Di Maio -. L’Italia sta costruendo nuove partnership, con Algeria, Qatar, Angola e Congo abbiamo la disponibilità ad aumentare le quantità di gas». Le promesse del M5s vanno prese con le molle, per più motivi. Di quadro interno: tra un anno in Italia si vota, con esito incertissimo. Di scenario: nessuno sa come finirà la guerra, ma tutti sanno che le materie prime saranno sempre più preziose. Ci sono infine i vincoli tecnico-contrattuali: la maggior parte del gas italiano arriva via tubo, «un matrimonio indissolubile» come dice Massimo Nicolazzi, ex manager Eni che insegna economia delle risorse energetiche. E nella gara globale ad assicurarsi gas e greggio, i Paesi produttori danno priorità agli usi interni. Le istituzioni hanno chiamato Descalzi per i 41 anni di anzianità all’Eni, la maggior parte da operativo “a bocca di pozzo”, di olio o di gas. Conosce bene i leader dei Paesi Opec, ed è tra i pochi italiani che possono sedere ai tavoli negoziali del caso. Così il 1° marzo Di Maio, che lo stima da anni, se l’è portato in missione ad Algeri. I viaggi in tandem sono proseguiti in Qatar (il 5) e Angola- Congo (13 marzo). In ogni visita i due hanno chiesto maggiori forniture di metano, anche se i nodi da sciogliere sono tanti e servirà tempo. In Algeria il nuovo gas Eni va “sviluppato”: l’azienda tornerà a investire, su una licenza ottenuta di recente quando il gas riaffiorerà potrà veicolarne in Italia pochi miliardi in più. Simili trattative serviranno in Qatar ed Egitto (lì Eni produce molto, ma per gli egiziani). Anche un’altra clausola tipica sarà forse da rivedere: quella sulladiversion, per cui se il prezzo di mercato del Gnl liquido supera quello del gas via tubo, le eccedenze si possono vendere via nave a clienti terzi. Il dossier Angola-Congo invece prevede due impianti di liquefazione, fino a 2 milioni di tonnellate l’anno che potrebbero, dopo il 2023, salpare verso l’Italia; il 10 marzo anche Mario Draghi ne avrebbe parlato, in una chiamata al presidente del Congo Dénis Sassou Nguesso. Infine, ci sono da ravvivare le produzioni in Libia, dove anni di guerra civile hanno più che dimezzato i 10 miliardi di capacità del tubo GreenStream. E c’è la produzione nostrana, scesa a 3,3 miliardi di metri cubi anche per veti politici e locali, ma che il governo punta a raddoppiare in tempi brevi con agevolazioni al varo.
Della nuova strategia si avranno ragguagli venerdì, nella presentazione del piano Eni 2022-2025. Giorni fa una portavoce ha annunciato la sospensione «di nuovi contratti di approvvigionamento di greggio o prodotti petroliferi dalla Russia». La mossa non tocca i vecchi contratti pluriennali, su cui Eni «sta svolgendo, caso per caso, opportune valutazioni commerciali e di logistica», aggiunge. Nel 2021 il 18% dei greggi lavorati da Eni era di provenienza russa, ma l’azienda «prevede di sostituire le quote ricorrendo al mercato internazionale, data l’ampia flessibilità di lavorazione delle raffinerie Eni e l’ampia qualità dei greggi lavorabili». Per ora non si parla del gas russo, ben più vitale per l’Italia. E in generale Eni dice che «l’attuale presenza in Russia è molto limitata e la società sta operando e opererà nel pieno rispetto delle decisioni eventualmente prese a livello istituzionale europeo e nazionale ». Tra l’altro, i prezzi stellari raggiunti da gas e greggio sui listini, su cui si fondano i contratti Eni-Gazprom, riducono molto i possibili ricarichi sui compratori italiani. Nel bilancio 2021, il migliore da un decennio con 4,7 miliardi di euro di profitti, Eni guadagna molto dalla vendita di olio e di gas di produzione propria, ma solo 169 milioni dalla divisione “Global Gas & Gnl”, che intermedia gas all’ingrosso. Dire addio al gas russo di Gazprom e rimpiazzarlo con gas Eni, finanziariamente, potrebbe essere un affare. E preparare la strada al quarto mandato di Descalzi ad, nel 2023. Un rinnovo nel segno dell’indispensabilità, che lo renderebbe il capo più longevo dell’azienda nata nel 1953.