Corriere della Sera, 15 marzo 2022
Intervista a Don Patriciello, minacciato dai clan
Nella parrocchia di San Paolo Apostolo, al centro del Parco Verde di Caivano, c’è ancora un gran movimento di forze dell’ordine. I carabinieri sono qui ormai da tre giorni, e don Maurizio Patriciello cerca di agevolare il loro lavoro senza dover fermare il suo, «perché qui c’è sempre tanto da fare e non ci si può fermare mai».
Lui ha appena sbrigato anche un altro impegno, che non è proprio pastorale, ma forse con la bomba che qualcuno ha fatto esplodere nella notte tra venerdì e sabato davanti all’ingresso della parrocchia qualcosa c’entra. «Ho appena firmato il mio testamento».
Perché proprio ora?
«Ho deciso così».
Si sente in pericolo?
«Ho già messo tutto in conto da tempo».
Anche di diventare un simbolo dell’anticamorra?
«Io sono un prete».
La chiamano prete anticamorra.
«Formule inutili. Il discorso è molto semplice: un prete predica il bene, l’amore, la solidarietà, la fratellanza. La camorra è male, odio, sopraffazione, violenza. Tutto qui. Non c’è bisogno di definizioni, è già tutto spiegato molto chiaramente».
Però è stato davanti alla sua chiesa che hanno deciso di fare esplodere una bomba.
«A chi vive spargendo il male, il bene fa paura».
Forse sono le sue parole, sempre chiare e dirette, che fanno paura.
«Ripeto, sono un prete. Ho sempre voluto esserlo, anche quando facevo altro».
Altro cosa?
«Io avevo un lavoro, ero caporeparto in ospedale. Poi a trent’anni ho lasciato tutto perché sentivo che la mia strada era un’altra. Volevo fare il prete e l’ho fatto».
Ed è arrivato al Parco Verde di Caivano.
«Questa è casa mia, ormai. Non so più nemmeno io da quanti anni sto qui. Praticamente da sempre».
Una casa complicata.
«Se avessi voluto una vita comoda avrei continuato a fare quello che facevo prima. Sicuramente era molto meno impegnativo».
Cosa ha pensato quando ha saputo della bomba?
«Che se ci fossero state le telecamere adesso i carabinieri già saprebbero chi è stato».
Ma cose tipo paura o sensa zione di solitudine no?
«Solitudine? Se mi guardo attorno vedo tanta gente».
Fa piacere?
«Certo, aiuta».
Le ha telefonato il capo dello Stato.
«Mi ha espresso la sua vicinanza. Un gesto tanto semplice quanto efficace. Che mi dà gioia e forza».
Lo conosceva già?
«Ero stato al Quirinale con un gruppo di bambini del quartiere. Poi avevamo avuto altri contatti, ci eravamo scritti. Ma una telefonata così, diretta, no, non era mai capitata. È stata molto importante. Gli sono grato».
A chi è invece che non è grato?
«Per esempio a chi non si è mai impegnato per mettere le telecamere al Parco Verde».
È un chiodo fisso.
«No. Ne parlo perché è indicativo dell’abbandono di questo posto. Anche il prefetto non poteva crederci che qui non ci fosse la videosorveglianza».
Forse ora le metteranno. La storia della basilica di Santa Chiara e delle porte di ferro messe dopo il saccheggio è un classico che si ripete sempre.
«E chi lo sa se le metteranno. Comunque sarebbe sempre troppo poco».
Cos’altro manca?
«Tutto».
Faccia un elenco.
«No, troppo lungo. Faccio un altro esempio: a Caivano sono previsti sessantacinque vigili urbani. Ce ne sono dieci».
Altri cinquantacinque risolverebbero?
«Non lo so, forse no. Anzi, diciamo di no, non risolverebbero. Ma sarebbero quelli giusti, quelli previsti. Sarebbe normale che ci fossero. Normale».
Al Parco Verde la normalità è lo spaccio di droga?
«Qui c’è qualcosa di straordinario».
Cosa?
«La forza delle persone per bene. Ce ne sono tante».
È vero, ma non se ne parla mai.
«Io ne parlo. E lo dico sempre: non sono soltanto persone per bene, sono eroi».