Corriere della Sera, 15 marzo 2022
Carlo Rovelli è contrario a mandare armi agli ucraini
La guerra vicina scatena in noi emozioni intense. Abbiamo un nodo alla gola. Brucia la domanda di come fermare l’orrore. Come arrestare la sofferenza insensata che è la guerra? C’è la solidarietà, e l’inquietudine che anche la nostra sicurezza sia fragile. È difficile districare emozioni e ragione. È facile, trascinati dall’emotività, commettere errori. Per noi, e per chi prende le decisioni collettive, rispondendo alle passioni comuni.
Tanti spingono per una immediata diminuzione dello scontro, negoziati senza pregiudiziali, aperti a concessioni reciproche. Dal segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres ai paesi che hanno preferito non sostenere la risoluzione Onu di condanna alla Russia: oltre trenta, che rappresentano più di 3 miliardi di abitanti. Il Papa, il Dalai Lama, generali del nostro esercito come il generale Fabio Mini, intellettuali di collocazioni diverse, voci di colori politici che vanno da sindacati di sinistra al mondo cattolico di Pax Christi, fino a chi è impegnato da anni contro la guerra, non solo questa, come la Rete italiana Pace e disarmo o Emergency.
Dall’altra parte c’è la reazione a un’evidente aggressione da parte di un paese con un regime politico che la maggior parte di noi detesta – io per primo —, contro un paese ridotto in macerie per essersi avvicinato alla nostra Europa. Per una volta sembra chiaro da che parte stia il torto. La reazione è concentrarsi solo su questo, condannare l’aggressore e difendere il paese aggredito con le armi. Questa reazione istintiva alimenta il «noi contro loro», lo spirito di gruppo. Cresce la belligeranza. È la logica della guerra: concentrarsi sulle nefandezze del nemico (reali) ignorando il resto, demonizzarlo, alzare lo scontro, sentirsi dalla parte della giustizia, e per questo sparare, uccidere. La stessa logica delle faide fra bande, in cui l’ultima grave offesa autorizza a far crescere lo scontro. La logica dei litigi fra individui, in cui entrambi si convincono, spesso a ragione, di essere vittime. Ogni compromesso è percepito come cedimento al male. Le voci di dubbio sono sentite come sostegno al nemico. Oggi questa seconda reazione prevale negli Stati Uniti e, con più dubbi, in Europa.
Penso sia un errore di cui ci pentiremo, soprattutto in Europa. Il primo motivo è che dare più importanza allo scontro che alla cessazione delle ostilità aumenta le sofferenze degli esseri umani. Qualcuno pensa davvero che mandando armi diminuiamo le sofferenze della guerra, il numero di morti, la quantità di devastazione? Abbiamo sentito «combatteremo fino alla morte» da giovani ucraini. Io non mi sento dalla loro parte. Rileggiamo «La Storia» di Elsa Morante per capire la guerra. Ci sono i «combatteremo fino alla morte», e c’è la folla sofferente delle Iduzze che non vuole la guerra. Mi sento più dalla parte di questi. Mandare armi in Ucraina mi sembra cadere nel gioco delle superpotenze: armare i piccoli perché facciano la guerra, per procura, contro altre potenze.
Il secondo motivo per cui penso che la reazione in corso sia un errore, è che ci spinge in una logica che rischia di rendere il XXI secolo perfino peggiore del XX. Il mondo manicheo, diviso in buoni e pericolosi cattivi, le buone democrazie e i cattivi autocrati di Russia e Cina, dove l’unica salvezza è imporre il nostro predominio con le armi, questo è un mondo che va verso catastrofi. L’alternativa è quella che ripete, fra tanti, il segretario generale delle Nazioni Unite: accettare la varietà ideologica, lavorare per la legalità internazionale, per la diplomazia. Accettare che altri paesi abbiano idee diverse dalle nostre, senza esserne spaventati.
La paura è la peggiore consigliera. La paura è la radice dell’aggressività. Leggete «Mein Kampf» di Hitler: è basato sul fatto che bisogna avere paura degli altri. Il primo passo verso la non belligeranza è uscire noi (che siamo militarmente ed economicamente molto più forti) dalla logica della paura. L’élite al potere in Russia era terrorizzata dall’idea di missili nucleari Nato in Ucraina. Vi sembra strano? Per evitare missili sovietici a Cuba gli Stati Uniti sono stati pronti a sfiorare la guerra nucleare. Non è incomprensibile che il Cremlino faccia lo stesso. La soluzione di Kennedy e Kruscev fu che l’Urss rinunciava ai missili a Cuba in cambio del ritiro dei missili Usa dalla Turchia. Un accordo diplomatico, in una situazione più ideologicamente polarizzata di oggi. Un passo indietro. Così si va verso la pace. Perché non possiamo fare lo stesso?
Metà del pianeta si è rifiutata di condannare la Russia. Non sono d’accordo, ma credo che il motivo sia ovvio: agli occhi di molti le bombe su Kiev sono orrore, ma lo sono state anche le bombe Nato su Belgrado, Tripoli, Bagdad, o Kandahar, su paesi che non avevano aggredito nessuno, contro la legalità internazionale. Sono orrore anche le bombe fabbricate in Italia che cadono oggi sullo Yemen, in una guerra che, come la guerra afghana scatenata illegalmente dall’Occidente, fa più morti, rifugiati, devastazione e dolore che l’Ucraina. La guerra in Ucraina non nasce adesso: era una sanguinosa guerra civile da quasi un decennio. L’occidente sosteneva le spese militari (l’impeachment di Trump, ricordate?, era su 400 milioni di dollari in aiuti militari a Zelensky). Era per promuovere la distensione che la Nato faceva esercitazioni militari nel Mar Nero davanti alle basi russe l’anno scorso? Non scusa nulla, ma ci aiuta a capire. Siamo giustamente scossi dalla guerra vicina, ma se consideriamo la guerra come orrore quando la fanno gli altri, e triste necessità quando conviene a noi, non aiutiamo la pace.
Penso che dobbiamo uscire dalla logica di rispondere alla violenza fomentando violenza. Trovare compromessi con dialogo e politica come seppero fare Kennedy e Kruscev. Perché non possiamo vivere senza che la gente muoia sotto le bombe? Perché diamo più peso a interessi economici e giochi di potenza che al dolore delle persone? Perché cadiamo in questa logica guerresca? Non lo so, cerco risposte come tutti, ma il clima di belligeranza in cui vedere sofferenze ci spinge a fomentare la guerra, e chiamiamo «pace» l’inviare armi, mi preoccupa, mi fa pensare che stiamo forse commettendo un errore. Tanti paesi si sono eccitati in questo modo, e spesso è finita male. Abbiamo paura gli uni degli altri. Siamo spaventati dalla nostra stessa ombra, e trasformiamo la nostra terra in un inferno.
La gente muore in Ucraina. Civili, giovani soldati che combattono, ucraini e russi, che individualmente non hanno colpa di nulla. La guerra non risparmia nessuno. Penso che la vera urgenza sia salvare loro.