La Stampa, 14 marzo 2022
Il lavoro domestico rimane a carico delle donne
Oltre a quello salariale c’è un altro gap che affligge le donne: la povertà di tempo. In un certo senso è la scintilla di ogni squilibrio, visto che la popolazione femminile si occupa in media del 75% del lavoro di care giving non pagato al mondo. Lavoro di cura che si declina in mille modi, dalle pulizie all’assistenza a genitori anziani o parenti malati, dall’organizzazione familiare fino a, banalmente, fare la spesa, stirare o stare dietro alle chat della scuola. Attività che succhiano un sacco di ore alle donne, condizionandone, tra le altre cose, le carriere, la possibilità di aggiornarsi, di coltivare relazioni sociali, di portare le loro idee nel mondo. Ma pure influenzano i loro tragitti all’interno delle città, le loro abitudini quotidiane e la loro salute, perché meno ore a disposizione uguale meno esami e visite mediche di controllo, meno attività fisica, etc etc. Divario che è un tema di uguaglianza sociale: privare le donne del controllo su risorse essenziali come il proprio tempo ne limita il raggiungimento del pieno potenziale, che altrimenti andrebbe a beneficio delle loro famiglie, comunità e nazioni.
Lo spiegava già l’economista Victoria Bateman nel saggio The Sex Factor: la condizione femminile più emancipata dai lavori domestici è stato uno dei fattori che hanno contribuito alla nascita della Rivoluzione industriale in Inghilterra prima che altrove. Però, purtroppo, diversi studi rivelano che anche ancora oggi nei Paesi più egualitari del mondo le donne svolgono ancora la percentuale maggiore dei lavori domestici non retribuiti. Vedi l’avanzatissima Svezia, al primo posto nell’indice sull’uguaglianza di genere dell’Ue, dove il 74% delle donne si occupa della casa per almeno un’ora al giorno, rispetto al 56% degli uomini (la media europea è 79% contro 34%). E anche dati italiani più recenti confermano il trend, come emerge dall’indagine «Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia» realizzata dal Censis per Assindatcolf, Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico. Sono le donne a dedicare più tempo alla casa (ma va?), addirittura il doppio: in media 19 ore a settimana contro le 10 degli uomini. Nel dettaglio, il 70% degli uomini dichiara di impegnarsi fino a 14 ore alla settimana a fronte di un 17,9% che ha ammesso di farlo per 15-24 ore. Opposta la situazione sul lato delle donne: il 45,3% del campione ha dichiarato di essere impegnata fino a 14 ore mentre il 54,7% dalle 15 alle 24 ore. Un gap che potrà essere superato dall’affermarsi di nuovi equilibri familiari, ma che anche la società dovrebbe impegnarsi ad arginare dotandosi di alcune infrastrutture indispensabili per abilitare la parità, a cominciare da ambienti e ritmi di lavoro più inclusivi.
Brigid Schulte, autrice di «Overwhelmed: Work, Love & Play when No One has the Time», aveva raccontato al Guardian di aver fatto una ricerca sui riti seguiti dai grandi artisti prima di scrivere, ma di essere rimasta molto più colpita da quelli delle donne della loro vita. Martha Freud non solo preparava a Sigmund i vestiti ogni mattina, ma pure il dentifricio sullo spazzolino, Marcel Proust poteva dedicarsi totalmente alla sua immensa opera grazie alla presenza della governante Celeste, la moglie di Karl Marx si occupava dei loro tre figli mentre lui passava le giornate a scrivere nella pace del British Museum. In un’intervista Patti Scialfa, coniugata Springsteen, si era lamentata di quanto fosse stato difficile per lei scrivere il suo album solista perché i figli continuavano a interromperla, cosa che non facevano con il padre Bruce. Insomma, loro, i maschi, hanno avuto sempre diritto a una risorsa essenziale: tempo tranquillo per esprimere il loro talento. Alle donne invece quello che è concesso spesso è un tempo interrotto, elemosinato, rubato. A volte pure rinfacciato come egoista.