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 2022  marzo 14 Lunedì calendario

Intervista a Bryan Adams

«Sì c’è la guerra e tutti me lo chiedono: perché un album adesso?». Il perché è molto semplice, secondo lui: «I musicisti devono continuare a creare, comporre, scrivere». Più chiaro di così. E allora è uscito il quindicesimo disco di Bryan Adams, che manco a farlo apposta si intitola So happy it hurts, ossia «così felice che ti fa male». Dodici canzoni che sono la conferma del suo marchio di fabbrica: melodia, rock levigato, zero impegno nei testi, roba che funziona dal vivo, in radio, alle feste. Ed è per questo che Bryan Adams lo riconoscono tutti, dai, basta sentirlo cantare. Con quella voce lì, rauca ma non ruvida, dura ma dolce, ha piazzato singoloni come Please forgive me, Run to you, (Everything I do) I do it for you che lo hanno trasformato in un best seller planetario. Poi, manco a dirlo, ha deciso di fare il fotografo e si è ritrovato a fare copertine di dischi (i suoi e quelli di Annie Lennox, Amy Winehouse e altri) fino a diventare la firma del calendario Pirelli 2022. Arrivando a Milano per presentarlo nel novembre scorso, si è ritrovato con il Covid: «È stata una situazione sfortunata. All’aeroporto mi hanno rilevato la febbre e così ho trascorso due settimane in un albergo di Milano». Detta così, non è molto rock: «Ogni momento è quello giusto per il rock», scherza lui che ha 62 anni come si usa fare oggi, ossia senza dimostrarli.
Però il rock sembra quasi estinto.
«In realtà non è un brutto momento per il rock anche perché il pubblico continua ad amarlo».
Vale anche per lei?
«A dirla tutta, negli ultimi tempi in Italia ho suonato in posti sempre più grandi rispetto al passato».
Perché?
«Forse perché adesso c’è il web. Le radio italiane mi hanno sempre supportato, ma attraverso il web si conoscono meglio i miei appuntamenti dal vivo».
A proposito di rock: i Maneskin?
«Ovviamente li conosco, possono fare grande musica».
Lei fa rock ma pure il fotografo. Quanto è diverso fotografare la realtà con una canzone o con una macchina fotografica?
«Io sono un ritrattista di moda, posso parlare solo di questo».
Non farebbe il fotoreporter in una zona di guerra?
«Non credo di averne le competenze. Lei quanto ci ha messo per diventare esperto nel suo mestiere?».
Almeno due decenni.
«Ecco vede? Mi chiedono spesso se mi piacerebbe dirigere un film. Sì certo, ma mi mancano quelle diecimila ore di esperienza necessarie per farlo bene».
Torniamo all’argomento di partenza. Perché un disco adesso?
«L’album avrebbe dovuto uscire l’anno scorso, ma non riuscivamo a trovare un centro che stampasse tutti i vinili. Oggi i vinili sono tornati di moda».
Anche Adele ha avuto lo stesso problema.
«Allora diciamo che è colpa sua».
Battute a parte, non è semplice ascoltare brani d’amore (ad esempio Just like me, Just like you) in tempi di guerra.
«Questa è una domanda che mi fanno spesso. Penso che gli artisti debbano continuare a creare. Dopotutto negli ultimi anni abbiamo attraversato molte guerre, in Irak, in Siria, e molte situazioni umanitarie complesse. È una situazione diversa oggi? A me sembra di no, anche se da certi scenari bellici si ricevevano meno informazioni e meno immagini».
Una volta Bryan Adams ha detto che il mondo appartiene alle donne.
È stata una traduzione sbagliata. Ho detto, e lo confermo, che il mondo sarebbe migliore se fosse gestito dalle donne.
A proposito: è il politicamente corretto?
Ma chissenefrega.
Chiarissimo.
«Si capisce subito se stai insultando qualcuno. Altrimenti sono battute, scherzi, giochi e non hanno valore offensivo».
C’è un brano nel disco che si intitola Kick ass. Letteralmente facciamo il mazzo.
«È un modo divertente per dire che il mondo ha bisogno di rock’n’roll, tutto qui, niente di offensivo».