il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2022
Le dodici facce di Hitchcock
In principio, dell’avventura hollywoodiana e della gloria tutta, ci fu Rebecca – La prima moglie nel 1940. Il produttore David O. Selznick, quello di Via col vento, che l’aveva messo sotto contratto per sette anni ottenne l’Oscar al miglior film, lui la prima nomination per la regia. Non fu facile trovare la protagonista, una era “troppo grossa e melensa”, l’altra “troppo russa nell’aspetto”, un’altra ancora “grottesca”. Fu infine Joan Fontaine, ma affinché “si comportasse come il relitto di donna ansiosa e lacrimevole descritta nel copione” il regista sparse zizzania, insinuando non piacesse al cast, spergiurando che Laurence Olivier le avrebbe preferito la moglie Vivien Leigh. Poi, le maniere forti. Faticando a farsi salire le lacrime per una scena, Joan azzardò che “se l’avesse schiaffeggiata avrebbe potuto ottenere il risultato desiderato: ‘Lo feci’ ricordò il cineasta, e lei ‘iniziò subito a singhiozzare rumorosamente’”.
Rebecca sdoganò negli Stati Uniti “un regista di ‘film da donne’, ma anche un regista di donne, un uomo che aveva il raro talento di creare – e ricreare – celebrità femminili”. Il suo nome era Alfred Hitchcock, e “intrappolato tra sentimenti di ammirazione e risentimento, identificazione e straniamento, tra l’impulso all’adorazione e il desiderio di controllo” avrebbe profuso dedizione e impegno, nonché esploso contraddizioni e sconcerto, nell’esplorare lo stile di vita e l’identità femminili. “Forse come nessun altro artista uomo del XX secolo”. Da Il labirinto delle passioni (1926) a Complotto di famiglia (1976), ha fatto cinquant’anni di superlativo cinema: lo sappiamo bene. Ma sappiamo quanti ce ne sono stati? No, non di film, di lui, Hitch. Tocca al dotto e arguto Edward White, inglese, classe 1981 stilare gli identikit dei personaggi nell’autore, delle dramatis personae nell’artista, delle maschere nell’uomo. Con ponderosa e sfrontata cura, Le dodici vite di Alfred Hitchcock distingue l’eterno bambino; l’assassino; l’autore; il donnaiolo; il grassone; il dandy; il padre di famiglia; il voyeur; l’intrattenitore; il pioniere; il londinese; l’uomo di Dio. Ogni prospettiva distilla senso, deflagra luoghi comuni, rileva idee e traccia provocazioni, provando che una nuova biografia, se non un nuovo biografismo, è possibile. Uno e “dozzino”, l’Hitchcock vestito di White sfida il principio di identità e di non contraddizione. È un grassone goloso e un dandy affettato; un donnaiolo però impotente che, ipse dixit, avrebbe messo incinta la moglie con l’ausilio di una penna stilografica. È un voyeur misogino – “la caratteristica animalesca e passiva” di Kim Novak la rese perfetta per La donna che visse due volte, nonché “il fatto che sotto il maglione non portasse il reggiseno” – con licenza, secondo alcuni critici, di attaccare volutamente il patriarcato in Marnie. È un padre di famiglia che lava i piatti dopo cena e anche il regista della serie Alfred Hitchcock Presents che minaccia un bambino di sette anni “di inchiodargli il piede al pavimento, sicché il sangue ne sgorgherà come latte”.
Chissà che ne sarebbe stato al giorno d’oggi è la questione: tra mero codice penale, #MeToo e dittatura o, quantomeno, demeritocrazia del politicamente corretto, quanto sarebbe resistito, quanti dei suoi film non avrebbero trovato luce e buio in sala? Meglio volgersi a un’altra questione: che ne è di Hitch al giorno d’oggi? Per l’eternità si era lungamente preparato, da Dio in terra, pardon, sul set. “A prescindere da quale versione del creatore supremo decidesse di interpretare, la mortalità dei suoi sottoposti non era mai in discussione”: lui no, lui era immortale, ma è andata davvero così? “Dopo la sua morte, la moglie Alma faticò a capire che se n’era andato e trascorse gli ultimi due anni della sua vita convinta che fosse ancora lì”.
Strano ma vero, Eminem non è troppo lontano dalla vedova: anche per il rapper, Alfred Hitchcock vive e lotta con noi. Nel 2020 ha resuscitato l’album “fantasiosamente scherzoso” Alfred Hitchcock presenta musica con cui farsi uccidere in Music to Be Murdered, che annovera a più riprese campionature della voce del “maestro, zio Alfred”. Le convergenze parallele non sono solo dello spartito, “entrambi – nota White – sono stati accusati di cruda misoginia e incitamento alla violenza gratuita, in grado di corrompere il pubblico più impressionabile”, ma comune è anche la difesa: “Umorismo, iperbole e simulazione, incomprensibili agli intellettualoidi”.