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 2022  marzo 13 Domenica calendario

Parte il concorsone per la scuola

Quasi un quarto dei candidati al concorso per insegnare nelle scuole secondarie che partirà domani ha tra i 41 e i 50 anni e solo 3 su 10 hanno meno di 30 anni. È il ritratto di una selezione che lentamente porterà in cattedra oltre 25 mila professori.
Era un’Italia chiusa e incerta quella a cui la ministra Lucia Azzolina annunciò con grande entusiasmo le prove che avrebbero assicurato il posto fisso a decine di migliaia di persone. Le domande furono presentate a luglio 2020. Ne arrivarono 430.585, una marea annunciata, per 33 mila posti a bando distribuiti tra numerose classi di concorso. Il 64% delle domande arrivavano da donne, il 36% da uomini. Il 30,4% ha un’età fino a 30 anni, il 39,2% ha un’età tra i 31 e i 40, il 24,1% ha un’età fra i 41 e i 50, il 6,3% ha più di 50 anni. In particolare, per la secondaria di I grado si registra un 69% di candidate e un 31% di candidati. Per il II grado, le candidature femminili sono il 63%, quelle maschili il 37%.
Non ci sono, però, quasi mezzo milione di persone che si presenteranno al concorso, le domande possono essere riferite anche a più insegnamenti contemporaneamente. Né è detto che queste cifre siano quelle effettive. Dopo due anni chi ha fatto domanda potrebbe (si spera, almeno) aver trovato un lavoro, altre persone si sono aggiunte alla platea di aspiranti prof e altri concorsi sono stati banditi nel frattempo, utilizzando posti presenti nei bandi precedenti. I posti disponibili sono infatti scesi a 26 mila e le domande sembrano essere salite a 600 mila. Si parte domani e si va avanti per un mese, ma solo per una parte delle classi di concorso. Per le altre le date sono ancora da definire, anche se il percorso è stato avviato due anni fa.
È l’usuale caos che accompagna le selezioni pubbliche in Italia. «Una follia», afferma Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola. «Una grande presa per i fondelli», sostiene Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl scuola. «Il sistema fa acqua da tutte le parti», conferma Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc-Cgil. Eppure il concorso è l’unica forma per conquistare una cattedra nelle scuole, perché i sindacati sono così critici? «Non si può pensare di valutare un professore attraverso una prova scritta composta da un esame a crocette e un orale light – avverte Gissi -. Non si valuta la capacità di insegnare, si contribuisce soltanto a dequalificare ulteriormente questo mestiere. Persone con lauree master e specializzazioni accettano di guadagnare 1.400 euro al mese perché hanno la sensazione di poter accompagnare i ragazzi nella crescita e avere un ruolo nel cambiamento della società. Se nel reclutamento si privilegiano contenuti nozionistici stiamo spegnendo la scuola e chi potrebbe fare qualcosa davvero si rivolge al settore privato».
I concorsi, quindi, non permettono di assumere le persone più adatte a insegnare ma non risolvono nemmeno l’annosa questione del precariato. Il prossimo primo settembre nelle scuole ci saranno sempre e comunque tanti supplenti. «Il sistema organizzativo dell’amministrazione non regge l’impatto di concorsi annuali – sostiene Sinopoli -. I tempi slittano, le cattedre rimangono scoperte. Inoltre ogni concorso produce idonei che non entrano in graduatoria e sono costretti a rifare la procedura l’anno successivo anche se sono preparati e hanno superato le selezioni concorsuali».
D’accordo anche Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti. «È sempre troppo poco rispetto alle esigenze. Ogni anno vanno in pensione almeno 30 mila persone. Se non si sveltiscono i meccanismi inevitabilmente si accumulano più precari». «In questi due anni i precari sono aumentati – conferma Turi -. Il ministro ha dichiarato che sono ormai 300 mila in servizio e le scuole stanno assumendo i primi che passano per strada per coprire i posti vacanti mentre il ministero sembra sempre di più un concorsificio. Non è questa la strada. Bisogna fare tabula rasa e cominciare daccapo».
La proposta dei sindacati prevede «percorsi abilitanti a regime innanzitutto per i precari con 3 anni di servizio», afferma Sinopoli. «Ci vuole un sistema che dia certezze sull’organico da assumere ogni anno e bisogna valutare gli insegnanti in uscita e non in entrata – ribadisce Gissi -, con una commissione che valuta se è in grado di gestire una classe, non le nozioni previste dagli esami attuali». Il canale da usare – ricordano i sindacati – è il Pnrr. «La prima delle riforme doveva essere proprio quellla del reclutamento – sottolinea Sinopoli – Invece è scomparsa dai radar e siamo già in ritardo per il prossimo anno».