il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2022
Biografia di Vanessa Scalera raccontata da lei stessa
La sua immagine-profilo di WhatsApp è un mero argine all’io esposto, alle facili suggestioni dell’ego: in primo piano, c’è solo il suo cane (“è vero, è così. Meglio stare attenti”).
E Vanessa Scalera è una donna attenta, da non tradurre per forza in “prudente”; lei è una neo rappresentante di un realismo non tragico, attenta a planare su possibili convenzioni legate alla sua professione, a sfuggire alla retorica dell’attore esistenzialista, necessariamente sofferente e tormentato (“non posso raccontarle di una famiglia ostile, altri drammi. O di sofferenze. È un male?”). Così non è un cruccio neanche l’essere arrivata “over” al successo popolare e grazie al ruolo di Imma Tataranni nell’omonima serie, quindi il clamore, i riflettori, il riconoscimento della critica e altre amenità.
Ora è nell’ultima commedia di Riccardo Milani, Corro da te, remake del francese Tutti in piedi, con Pierfrancesco Favino e Miriam Leone protagonisti; una commedia tonda, ben costruita, con i soliti modi garbati, intelligenti e strutturati di Milani (“Ed è strano, ma per il mio ruolo questa volta non mi hanno imbruttito”).
La imbruttiscono sempre.
(Ride) Lo sa che è vero.
Come mai?
E che ne so? Però questo aspetto mi diverte; (ci pensa) forse perché non interpreto personaggi borghesi.
La inquadrano con tratti popolari.
E che c’è di male? Basta non diventi un limite (la interrompono, è in teatro, sta provando lo spettacolo ‘Ovvi destini’”).
È pronta?
Macché, sono tre anni che manco dal palco.
Per molti colleghi il ritorno è stato come un battesimo e si sono commossi?
Io piangerò all’ultima battuta se sarò in grado di arrivarci.
Esagerata.
Vuole sapere se ho l’ansia da debutto? Non solo da debutto, quella sensazione resta alla seconda, alla terza e fino alla fine delle repliche; (pausa) poi la tournée arriva in Puglia, la mia regione.
Scaramanzie?
No.
Riti?
No, per carità (si rilassa e un po’ di salentino esce fuori).
Perché attrice?
Impossibile diventare altro, fa parte del mio Dna e senza alle spalle storie fantastiche o epiche, della serie: sono andata a teatro e mi sono illuminata; (pausa) da bambina ho solo deciso che era la mia passione, il modo per esprimermi e da quando sono alle elementari.
Cosa soddisfaceva?
Il mio ego: lì c’è un piacere enorme nel mostrarsi, così come al cinema.
Differenza.
Il teatro è un tuffo dal trampolino con qualcuno che ti assesta un pugno alle spalle; il cinema è una lunga, lunghissima vasca a nuoto dove puoi migliorare i tuoi tempi.
L’ego viene soddisfatto più dal cinema o dal teatro?
(Pausa lunghissima) Gli applausi del teatro sono una botta diretta; nel cinema ti guardi e giudichi.
Si giudica, quindi.
Tantissimo e in tutto.
Severa.
Sempre. Non mi do scampo.
È arrivata al successo tardi.
(Sorride) Almeno ci sono; (cambia tono) come accade a tantissimi attori il mio è un percorso tragicomico, segnato da periodi di lavoro e mesi di silenzio dove era obbligatorio reinventarsi la quotidianità. Non è scontato…
Cosa?
È più complicato per le donne rispetto agli uomini: tra gli uomini ci sono casi di successo tardivo, e penso a Tommaso Ragno o Giorgio Colangeli, mentre con noi i quarant’anni sono delle colonne invalicabili.
Ha mai pensato di rinunciare?
No, però non mi sono mai posta l’obiettivo di diventare famosa, ma solo quello di lavorare su progetti adeguati, che mi piacevano, per questo spesso ho rifiutato proposte, magari poche pose giusto per battere cassa; (ci pensa) comunque non parliamo di proposte fantastiche, quando ero ragazza erano altri tempi.
Traduzione?
A fine anni Novanta la situazione attoriale italiana era omologata, preda di un ventennio politico-culturale, e sappiamo che tipo di televisione ci hanno propinato e quali attori hanno coinvolto; se fossi stata ragazza oggi avrei avuto più possibilità.
Allora come si reinventava?
Come molti miei compagni di disavventura teatrale alternavo il palco al ruolo di cameriera, oppure commessa di bigiotteria.
Le pesava l’atteggiamento degli avventori verso di lei?
Mi pesava il tipo di lavoro, poi guardavo i clienti e dentro di me qualche vaffanculo verso di loro partiva.
Il suo arrivo a Roma.
Anno 1996, c’erano ancora le cabine telefoniche e mia madre prima di partire che mi regala un cellulare “non si sa mai”. Se ripenso a quel periodo vedo tutto in bianco e nero, sembra passato mezzo secolo con me assetata di ogni sfumatura del quotidiano.
Mentalmente era estate o inverno?
Ero giovane, quindi estate; (sorride) però non ero ingenua, magari gli altri potevano pensarlo per via del mio spiccato accento salentino: per pronunciare “sole” con la “o” chiusa ho impiegato mesi.
L’immagine del cane su WhatsApp…
Una forma di difesa, di timidezza, quando ogni tanto vorrei esplodere e mostrarmi, provarci, anche perché mancano pochi anni.
Una scena alla Luisa Ranieri per Sorrentino la accetterebbe?
E mica ho quel corpo là, come si dice a Roma sono più una scrocchiazzeppi (tradotto: molto magra); se avessi le forme di Luisa, certo. Ma a essere come lei.
Non si butti giù.
(Ride) Io gioco un altro campionato.
All’improvviso popolare.
A volte mi estraneo e penso: guarda cosa è accaduto; (pausa) il pubblico mi ferma e percepisco una forma di amore; (e subito relativizza) oh, mica mi riconoscono in tanti.
La percezione che hanno di lei sarà mutata.
Dopo il personaggio di Imma, donna bella tosta, sono iniziate ad arrivarmi le domande più strane, su argomenti che non padroneggiavo perfettamente.
Vuol dire?
Questioni poste come fossi una politologa o un politico; volevano conoscere tutto di me, anche il pensiero, e questo all’inizio mi ha sballottolato.
Da ragazza si occupava di politica?
Frequentavo la sezione del Partito comunista, luogo di incontro fondamentale per il mio paesino (Mesagne), dove si discuteva tra una birra e una sigaretta; (ride) alla fine uscivi ubriaco e convinto di aver capito tutto di politica e dalla parte giusta.
Il film: com’è andata con Favino?
Andiamo oltre al talento, già chiaro; la sua caratteristica, rara, è quella di una spiccata educazione mista al giusto stupore: per darmi le battute si è pure nascosto dietro un vaso, accucciato a terra, quando chiunque altro avrebbe delegato all’aiuto regista; sì, mi ha stupito la sua passione e serietà, oltre alla simpatia.
Un cinepanettone lo girerebbe.
(Immediata) No. (Ci pensa). No.
È chiaro.
Si può ridere anche senza cinepanettone: Corro da te l’ho visto in sala e Favino mi ha fatto uscire le lacrime; (Ci pensa) Milani rideva sul set davanti al combo (lo schermo piccolo per rivedere le riprese).
Milani non mette ansia.
No, però è uno serio.
Ha girato con Moretti. Lui dà ansia.
All’inizio pensavo ‘oddio’ ma solo perché è Moretti, per la sua storia artistica; poi, a parte i tanti ciak che pretende, tutto va riportato a uno stato di normalità umana.
E Marco Tullio Giordana?
Un omone, esperienza meravigliosa, come con Bellocchio; me stanno proprio simpatici e poi con loro c’è un’affinità socio-politica
Cosa le hanno insegnato?
Di non avere l’ossessione di aver chiaro tutto, di non rispondere a ogni perché del personaggio e della storia per lasciare spazio all’improvvisazione.
C’è una differenza generazionale tra Bellocchio e Giordana con Milani.
No, sono tutti e tre persone molto pacate che quando s’incazzano sono dolori; con Marco Tullio e Marco sul set c’era un silenzio reale, una liturgia antica.
A casa sua cosa pensano della carriera?
Ne parlo poco, forse sempre per colpa di quell’ego messo da parte.
E quando torna al paese?
Mi conoscono tutti e da sempre, quindi sono sempre io, al massimo mi chiedono una foto quando vado a comprare il pane, ma non andiamo oltre.
Primo spettacolo teatrale.
(Sorride) Con Johnny Dorelli: dovevo cantare un brano con lui, ma ero talmente stonata da venir sistematicamente tagliata: “Vanessa, accennala solamente, poi parto io”.
Ci restava male?
No! Assolutamente; poi ero felice perché con lui sono partita in tournée per un anno ed è stata una sorta di Erasmus: ho girato l’Italia del Nord, l’ho scoperta, e per la prima volta ho visto la nebbia o la neve. Oltre Roma non ero quasi mai andata.
Cosa la fa indignare?
La mancanza di senso civico, di educazione, il menefreghismo.
E l’attore cane?
Al massimo mi fa tenerezza, gli vorrei suggerire di cambiare mestiere, ma chi sono io per farlo? (Sorride) Tanto c’è la selezione naturale.
È competitiva?
Certo, e per questo voglio recitare con attori bravi, perché diventa una gara e mi esalto.
Un reality?
(D’istinto, urla) No! Sono un’attrice, non una soubrette.
Si rivede sullo schermo?
C’è chi non lo fa?
Dicono.
Mi sembra impossibile.
Perché?
(Alza di un tono la voce) Ma come, passo uno o due mesi a preparare un personaggio, lo porto in scena, e poi non lo vedo? Non ci credo. Uno deve verificare, poi bearsi o meno della propria arte; (pausa) Secondo lei De Niro non si è mai rivisto?
Lei è un’artista.
(Decisa) Sì.
Quando vincerà un David?
(Ride) Ora ci sono le votazioni.
Facciamo un appello.
No, per carità. Ma se arriva me lo bacio tutto.
È pronta con il discorso?
No, parlerò di questa intervista, dirò che mi ha portato bene.
Primo ringraziamento.
(Ride) Al Fatto.
E poi?
Alla famiglia, ai registi, agli agenti, agli affetti e a me.
Lei chi è?
Non rispondo. La prego. Ancora devo completare il puzzle della mia vita.