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 2022  marzo 13 Domenica calendario

Storia delle bonifiche fasciste

In una sorta di gemellaggio tra Lazio e Veneto si svolgeranno il 21 marzo a Roma e il 22 a Venezia due manifestazioni legate al centenario del primo congresso regionale per le bonifiche venete che si tenne nella primavera del 1922 a San Donà di Piave. L’evento riveste particolare importanza dopo le recenti modifiche degli articoli 9 e 41 della Costituzione, che tutelano l’ambiente, le biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. E sotto questo aspetto le bonifiche che all’epoca arricchirono le due regioni sono esempi significativi per l’ingegno dei progetti e le capacità di esecuzione. Qui ci limitiamo a quella più importante, relativa all’agro romano-pontino, con l’avvertenza che, in misura minore, analoghe considerazioni valgono per le terre veneziane.
I TENTATIVIDai tempi di Enea la zona a sud di Roma era infestata dal fango e dalla malaria, rallentando le vie di comunicazione ed esponendo gli abitanti a epidemie e febbri mortali. La Repubblica prima, e gli Imperatori poi, cercarono di convogliare le acque in canali contigui alla via Appia, con alterni successi; le invasioni barbariche distrussero quel che avevano fatto gli ingegneri romani e si dovette attendere Leonardo da Vinci per riprendere un progetto di vasto respiro, che tuttavia rimase sula carta per l’opposizione dei latifondisti. Vari pontefici ritornarono sull’argomento, e anche sul posto: durante una di queste ispezioni Sisto V fu colpito dalla malaria, e ne fu la vittima più illustre. Allarmati da questo esempio ammonitore, i suoi successori rinunciarono a cambiare il corso delle cose, e in particolare delle acque. Dopo vari esprimenti falliti, l’impresa fu assunta dal nuovo Stato italiano.
LA SVOLTAForse il merito maggiore va attribuito a Ernesto Nathan, sindaco di Roma. Questo ebreo intelligente e operoso introdusse e affermò, svincolandoli da ogni pregiudizio confessionale, i principi della buona amministrazione, con un occhio all’emancipazione delle classi più povere, con l’altro a un razionale sviluppo urbanistico, e con entrambi allo stato delle finanze. Moltiplicò le scuole pubbliche, rurali e urbane, reclutando pedagogisti per l’educazione, architetti per le strutture e medici per l’igiene; sviluppò la rete tranviaria, ampliò i musei e promosse il recupero dei resti dei monumenti imperiali. Nell’ambito di questa progettazione ambiziosa e di realizzazione efficace aveva inserito anche la bonifica dell’agro romano.
DOPO CAPORETTOLo scoppio della prima guerra mondiale sospese questo programma grandioso, ma per quelle bizzarrie della storia tanto amate dai filosofi in un certo senso lo favorì. Fu istituita l’Opera Nazionale Combattenti, anche con lo scopo di distribuire terre ai reduci e alle loro famiglie. Il Nordest del Paese, in parte invaso dopo Caporetto, in parte lacerato dai bombardamenti, e dappertutto afflitto dalla povertà e dalla fame, costituiva una riserva di manodopera laboriosa e inesauribile. I contadini, soprattutto nelle aree più depresse, vivevano ai limiti della sussistenza, sfruttati da un padronato spesso ottuso e quasi sempre insensibile. Quando, negli anni Venti fu riaperto il capitolo delle bonifiche, gli unici problemi erano costituiti dagli espropri, dagli indennizzi, e dalle tecniche innovative. Le braccia per lavorare erano disponibili e a buon mercato. 
GLI OBIETTIVIMussolini comprese subito l’importanza economica, demografica e propagandistica di questa trasformazione. L’Italia era afflitta da carenze produttive di alimenti e da eccessi insostenibili di popolazione. Per affrontare la prima importava grano, e per rimediare alla seconda esportava emigranti. La conversione di zone paludose e malariche in fertili contrade di mietitura e fienagione sembravano, e in effetti erano, rimedi forse non risolutivi ma certamente utili a ridurre questi due flagelli. Cosi il fascismo fece della bonifica una sorta di crociata laica, volta a conquistare con il lavoro e la pace i territori dove, più di due millenni prima, era sorta la Repubblica romana. Come spesso accade ai dittatori, alcune buone idee iniziali vengono convertite, dopo anni di potere, di lusinghe e di illusioni, in velleità visionarie. Dieci anni più tardi il Duce avrebbe ripetuto l’impresa non più nelle paludi laziali ma nelle lande desertiche dell’Etiopia, inaugurando quel processo di autoesaltazione paranoica che si sarebbe concluso a Dongo e a Piazzale Loreto. 
L’ARCHITETTURAL’idea funzionò. Nel periodo tra il 1926 e il 1937 sotto la guida dell’agronomo Valentino Orsolini Cencelli, mutilato di guerra, Commissario dell’Associazione Famiglie Caduti, da principio squadrista violento, in seguito condannato a morte dal Tribunale speciale repubblichino, e nel dopoguerra vicepresidente della Confagricoltura, furono sottratti agli stagni malarici quasi ventimila ettari di superficie, attribuiti ai lavoratori dapprima in concessione e successivamente in proprietà. Furono costruite circa 4000 case coloniche, e spuntarono borghi dai nomi significativi e di architettura improbabile, che oggi tuttavia tende ad essere rivalutata.
LE BATTAGLIEAlcuni complessi rievocarono luoghi di battaglie, come i borghi Podgora, Piave e Carso. Altri simboleggiavano le glorie presenti, come Sabaudia e Littoria. Il consenso comunque fu unanime: Pietro Ingrao, uno dei padri storici del comunismo italiano, ammise serenamente di aver partecipato ai Littoriali della cultura e dell’arte con una poesia, francamente brutta, sulla bonifica delle paludi pontine, scritta con una sincerità apologetica. Alla fine il territorio ebbe anche una santa patrona: Maria Goretti, la dodicenne assassinata da uno stupratore al quale oppose una resistenza virginale.
LE DEGENERAZIONITutto sommato, la bonifica fu una gigantesca opera di ingegneria idraulica e di scienza agroalimentare che stupì il mondo. Ebbe ovviamente dei costi elevati, e talvolta atroci, nelle vite perdute, nelle famiglie smembrate e nelle incomprensioni ambientali. Era un prezzo allora tollerato da tutte le democrazie, dai costruttori di grattacieli a New York a quelli delle metropolitane delle capitali: superfluo ricordare che nella dittatura sovietica Stalin deportò e fece morire di fame milioni di contadini per i fallimenti dei suoi piani quinquennali.
Le successive degenerazioni del fascismo, dalle odiose leggi razziali alle catastrofiche conseguenze della guerra, fecero tuttavia dimenticare questi risultati positivi che migliorarono l’economia nazionale e la vita di migliaia di persone. Ed è vero che oggi è rischioso dire che Mussolini ha fatto anche qualcosa di buono: si può finire sotto gli artigli del codice penale. Un codice che tuttavia, non dimentichiamolo, è del 1930 ed è firmato proprio dal Duce.