Corriere della Sera, 13 marzo 2022
«Noi, ex conigliette di Playboy»
Un vecchio signore in vestaglia da camera. Un nonno d’altri tempi. Solo che a circondare Hugh Hefner, il fondatore dell’impero Playboy, non erano nipotini ma giovani donne. Bionde, sexy, poco più che ventenni. Erano le sue numerosissime «girlfriend», ospitate nella Playboy Mansion, lussuosa villa sulle colline di Hollywood dove c’erano campi da tennis, uno zoo privato, una sala giochi e una dependance rivestita di specchi, arredata con divani in pelle. Piuttosto intuitivo immaginare la destinazione d’uso.
Chi fu Hefner? L’uomo che liberò la donna dalle convenzioni perbeniste del XX secolo o un sessista che avrebbe passato guai se non fosse morto giusto una settimana prima dell’uscita dell’articolo sul New York Times che avrebbe dato vita allo scandalo Weinstein e alla conseguente nascita del #MeToo? A questa domanda tenta di rispondere la docuserie in 10 puntate Playboy: le ombre di un impero, dal 17 marzo alle 22.55 su Crime Investigation (Sky, 119), prodotta e diretta da Alexandra Dean. «La domanda dalla quale sono partita è una: quale luce avrebbe l’impero di Playboy raccontato oggi dalle protagoniste femminili?».
Per rispondersi Alexandra Dean ha chiamato un discreto numero di ex-playmates e scoperto un mondo variegato e contraddittorio: «Pensavo che da quelle telefonate sarei riuscita a ricavare un’ora di racconto, forse svelando qualche aspetto un po’ più complicato, ma non mi aspettavo le storie che mi sono arrivate. Alla fine ho dovuto dividere il racconto in dieci episodi».
Ognuno vede protagonista una ragazza, una vittima. Sondra Theodore ad esempio, una delle voci più critiche, che frequentò Hefner negli anni Settanta, nel periodo più difficile delle sperimentazioni tra droga e festini; oppure Holly Madison che arrivò a pensare al suicidio; o Jennifer Saginor, la figlia del medico di Hefner, che crebbe nella villa «e vide cose che una ragazzina non dovrebbe vedere».
Hugh Hefner però non fu Harvey Weinstein e nella serie Dean da spazio anche a chi difende Hefner. «Quando si analizza il comportamento di Hefner – dice la regista – le cose sono molto più complicate. Perché in fondo è vero: lui fu un campione di idee progressiste, sincero quando diceva di voler promuovere la libertà sessuale delle donne». Fu anche un attivista impegnato nel difendere i diritti della comunità afro-americana nell’America segregazionista, lottò per i diritti dei gay e finanziò la lotta contro l’Aids negli anni 80.
Ora scopriamo però che esisteva un lato oscuro di quest’uomo che a parole proclamava la libertà sessuale della donna ma che allo stesso tempo si definiva «Gesù che perdonò la prostituta». «Se lui era davvero il campione liberale che diceva di essere perché pensava di dover perdonare la donna? Cosa c’era da perdonare? E perché prostituta? In molte hanno paragonato quel mondo a una setta. Quelle ragazze entravano nella Mansion con una speranza di libertà, fama e glamour e ne uscivano con la vita a pezzi, spesso dipendenti dalla droga». La serie racconta anche episodi di cronaca nera accaduti fuori dalla villa, nei Playboy club disseminati nel mondo. I frequentatori «ordinari» non potevano toccare le famose conigliette. Ai clienti vip però erano fatte concessioni che spesso finivano in notti selvagge, di rapimenti e stupri. Squadre di «pulitori» vennero create per mettere le cose a tacere. «Era un comportamento che rifletteva i tempi. Quelle donne non denunciavano le violenze subite perché sapevano di essere colpevoli agli occhi di un mondo che le voleva sexy e libere ma che non le difendeva dai rischi di questa loro ipertrofica sessualità».